Orgogliosamente. Orgogliosamente Emmanuel Macron si disegna addosso un bersaglio etico- politico contro cui i sovranisti di tutte le risme sono invitati a puntare. Macron rivendica di essere lui «il nemico del nazionalismo e della politica dell’odio», di chi si batte contro il no all’accoglienza. I sovranisti vanno alla grande, gli altri rimirano l’ombelico
«È ciò che propongono Orban e Salvini», avverte: e lui è dalla parte opposta.
Dunque gli schieramenti in vista delle elezioni europee della primavera prossima, spartiacque decisivo per confermare o ridisegnare i rapporti di forza continentali, si vanno materializzando. L’incontro in Prefettura a Milano tra il ministro dell’Interno e il premier ungherese ha fatto da detonatore: il Ppe, come rilevato ieri, è avvisato; ma è l’intero arco di forze europeiste che comincia a prendere le misure dello scontro.
Comincia, e va bene. Ma la domanda è: quando finisce? Quando cioè si profilerà un blocco forte e credibile, con proposte convincenti e verificabili, che amalgami partiti ed elettorati di tutti quegli Stati europei che rifiutano la via nazionalista e la grancassa populista? Se il buongiorno si vede dal mattino, la risposta rischia di essere conensata in una sola parola: mai.
Già i termini con i quali Macron ha inteso rintuzzare l’offensiva italo- ungherese sono indicativi: «Nei prossimi gior- ni e nei prossimi mesi dovremo prendere delle decisioni approfondite per trattare i temi delle migrazioni». Giorni? Mesi? In realtà il ritardo su quel delicatissimo tema, vera mina sulla quale l’intero edificio comunitario può saltare, è già clamoroso: forse incolmabile. E quanto alle decisioni, ci sarebbero già: per esempio quelle sulla ripartizione concordata dei collocamenti sottoscritte ( ma poi subito contestate) nel Consiglio europeo di fine giugno. Il bersaglio autodisegnato su di sè da Macron si dimostra talmente fragile che a Salvini bastano due frasi per disgregarlo: «Anziché dare lezioni agli altri governi - affonda il vicepremier italiano - spalanchi le proprie frontiere a partire da quelle di Ventimiglia. E la smetta di destabilizzare la Libia per interessi economici».
In effetti il punto è proprio questo. Mentre il fronte sovranista- nazionalista viaggia col vento in poppa, gode dell’appoggio crescente degli elettori, mostra i muscoli e, in particolare in Italia, sequestra e tiene in ostaggio il sentimento prevalente nell’opinione pubblica, dall’altra parte è tutto un ripiegamento verso formule altisonanti ma poco incisive. E soprattutto pesano i diversi interessi dell’asse franco- tedesco e la frattura fra questi e le aspirazioni alla sicurezza e alla tutela dei confini che alimentano il rancore dei sovranisti.
Insomma da un parte un esercito che si ingrossa; dall’altra un andamento che allo stato è in ordine sparso, poderosamente innaffiato da massicce dosi di ipocrisia. Macron attacca i populisti ma si guarda bene dall’accollarsi i migranti africani perché è terrorizzato dai fendenti che arrivano da Marine Le Pen: il Front Nationalè il primo partito francese e quei 10 milioni e mezzo di voti presi da Marine al ballottaggio provocano gli incubi. Non diversamente stanno le cose per la Cancelliera Angela Merkel. Tra poche settimane si voterà in Baviera e lo spettro dell’Afd aleggia come non mai, al punto che il ministro dell’Interno, il Csu Horst Seehofer, in caso di tracollo elettorale potrebbe annunciare un clamoroso divorzio dalla Csu. Tra dieci giorni si vota in Svezia, Paese simbolo dell’integrazione, e il rischio che a vincere sia il partito degli anti- immigrati è concreto. Un’occhiata alle cifre spiega perché. Secondo i dati dell’UNHCR, il numero di rifugiati per ogni mille abitanti in Svezia tocca quota 23,4: la più alta d’Europa. La Germania è all’ 8,1; la Francia al 4,6. L’Italia è terzultima al 2,4: dietro di lei solo Grecia ( 2,0) e Gran Bretagna 1,8).
By the way, a proposito. Tra le altre negatività, la Brexit ha provocato l’indebolimento netto dei Paesi a tradizione liberale in ambito continentale. Un danno collaterale da pochi considerato ma che al contrario è fondamentale: non è certo un caso se il rifiuto dei migranti attecchisce in Paesi dove il patrimonio di accoglienza e di rispetto dei diritti universali dell’uomo è più flebile. Le “democrature” attraggono l’illiberalità come la luce le falene.
Di conseguenza la domanda iniziale - quando si formerà un blocco antisovranista credibile e agguerrito - andrebbe riformulata, rendendola più inquietante. Il vero quesito è fino a che punto l’egoismo degli Stati più forti prevarrà sui vistosissimi segnali d’allarme che indicano nel superamento dei meccanismi democratici la vera posta in palio nelle prossime elezioni europee.