Il 12 aprile 1973 un agente, Antonio Marino, fu ucciso nel corso di scontri tra neofascisti e polizia dopo una manifestazione organizzata dal Msi a Milano. Il partito di Giorgio Almirante in quel momento galoppava: un anno prima, alle elezioni politiche aveva largamente superato l'8%. Si presentava come il partito della legge e dell'ordine e questo i suoi elettori volevano che fosse.

La morte di un poliziotto nel corso di una battaglia tra neofascisti e forze dell'ordine era quanto di peggio potesse capitare ad Almirante. Reagì con la drasticità e la determinazione che lo distinguevano: indagò per sapere i nomi dei due giovani che avevano lanciato bombe da esercitazione srcm, ordigni che avrebbero dovuto fare soprattutto rumore e che invece portarono alla morte dell'agente Antonio Marino, e li denunciò. Senza arrivare a tanto Giorgia Meloni dovrebbe non solo "dire qualcosa" ma "fare qualcosa" per marcare la distanza tra lei e l'anima neofascista che alberga nel suo partito e che emerge a cadenza ormai quotidiana.

Certo, c'è chi la va a cercare. Ma questo è nell'ordine delle cose e la mediatizzazione della politica è una realtà probabilmente irreversibile. Certo, quelle voci probabilmente non rispecchiano gli umori del gruppo dirigente di FdI e della stessa premier. Però sono parte di una base che, in tutta evidenza, si sente legittimata a palesare in privato, ma neppure troppo, umori fascisti a volte nazisti, palesemente antisemiti.

Se un consigliere regionale può rivendicare il forni crematori senza che nessuno nel suo partito se ne scandalizzi troppo, non ci si può stupire se poi ragazzini di estrema destra si sentono liberi di strillare Sieg Heil e di dar libero sfogo al peggior antisemitismo. Ma se una premier non sente l'obbligo di intervenire con la massima drasticità non deve poi lamentarsi se i suoi nemici politici, nel suo Paese in Europa, usano i fattacci in questione per revocare in dubbio la sua buona fede democratica.

In tutta evidenza la premier è animata da una sorta di "spirito di banda" che la porta a difendere "i suoi" anche quando diventano indifendibili, sia che si tratti di ministri o di militanti fuori di controllo. E' la strada che, se non inverte per tempo la rotta, la porterà alla rovina.

Chiedere a Giorgia Meloni di professarsi antifascista è pura propaganda. Una leader che si sente erede legittima di Giorgio Almirante può non essere fascista ma se si dichiarasse antifascista sarebbe solo ipocrita. Ma chiederle di seguire l'esempio del suo punto di riferimento politico e agire con la drasticità e anche la serietà di Giorgio Almirante è invece del tutto lecito. E il minimo indispensabile.