Le cose cambiano e a volte cambiano con velocità fulminea. Poco, pochissimo tempo fa la spina nel fianco di Giorgia Meloni era l'alleato leghista. Nel giro di due mesi il quadro si è capovolto.

La croce ora è per Giorgia proprio Tajani, che nei modi è molto più urbano e conciliante di Salvini ma che nella sostanza da settimane non arretra di un passo. Nell'intervista a Repubblica non tiene solo il punto sullo Ius Scholae ma arriva un millimetro dal dire chiaramente che se dal Pd o dall'opposizione partisse una proposta identica alla sua non potrebbe certo non votarla: «Se il Pd si dice d'accordo con me non posso essere io a cambiare idea».

Quella proposta al momento non c'è. Il Pd insiste sullo Ius Soli ma è una posizione di bandiera, con Fi e anche il M5S contro quella partita è persa ancora prima di giocarla. Ma in campo c'è anche un'altra proposta, quella del vicecapogruppo del Pd, Ciani che già si avvicina molto di più all'ipotesi di Tajani. Nella formulazione attuale probabilmente Fi non la voterebbe, perché il progetto azzurro prevede maglie più strette e un percorso scolastico decennale necessario per accedere automaticamente alla cittadinanza.

Ma la distanza tra i due progetti è limitata e se si arriverà in aula, cosa che la premier cercherà in ogni modo di evitare, rivedere la proposta Ciani per renderla accettabile, e se necessario anche identica, a quella su cui sta lavorando da anni Renata Polverini, ex governatrice del Lazio oggi forzista, non sarebbe impresa sovrumana. A quel punto la spaccatura della maggioranza sarebbe inevitabile. Tajani lo sa e minimizza: cose che capitano. Non è nel programma? «Nei programmi non c'è mica tutto. Si possono anche arricchire».

Nemmeno il voto su Ursula von der Leyen era nei programmi, del resto: tant'è vero che la maggioranza ha votato in modo diverso e non è cascato il mondo. Certo, Tajani il diplomatico assicura che comunque lo Ius Scholae non è una priorità, ma che basti a rassicurare Giorgia e Matteo è improbabile perché se un argomento viene ribadito con cadenza quotidiana e con parole ogni volta più determinate somiglia molto a una priorità di fatto se non di nome.

Poi la priorità che il leader azzurro indica, a pari merito con l'economia, è un terreno solo in apparenza meno minato. Si tratta di infatti delle carceri e se è vero che su quella nota molto dolente nessuno dice che si può lasciare tutto com'è, a differenza che sulla cittadinanza, è anche vero che quanto alle soluzioni la distanza all'interno della maggioranza, e anche del governo e addirittura dello stesso ministero della Giustizia sono sideralmente distanti. Il problema rappresentato per Meloni da Fi, insomma, è molto più concreto di quello solo apparente, anzi appariscente, costituito da Salvini.

Cosa ha determinato questa improvvisa e drastica sterzata del mite Tajani? Probabilmente tre fattori distinti. Il risultato delle Europee che ha accertato la possibilità di Fi di riprendere slancio dopo anni di una decadenza iniziata ben prima del trapasso del padre fondatore. Poi la rottura in Europa tra Giorgia e il Ppe di cui Fi fa parte. L'abitudine a considerare i rapporti di forza a Bruxelles e Strasburgo secondari rispetto a quelli nei singoli Stati dell'Unione è un'eredità del passato che oggi non corrisponde più alla realtà e anzi è l'opposto della realtà. E' l'Europa a determinare in buona misura gli equilibri nei singoli Paesi e questa, per Meloni, è un'amarissima realtà.

L'elemento più determinante però è la posizione della famiglia Berlusconi, che anche senza Silvio di Forza Italia resta proprietaria. Né Marina né a maggior ragione Piersilvio hanno fatto mistero di reclamare una svolta "liberale", molto più attenta ai diritti, molto meno "di destra". Tajani giura di non aver ricevuto nessuna pressione da Arcore e non potrebbe fare diversamente. Ma quelle pressioni sono invece state esercitate alla luce del sole, e probabilmente a maggior ragione anche nell'ombra.

La famiglia non ha esitato a storcere pubblicamente il naso persino di fronte all'ottimo risultato elettorale del nuovo leader e non ha mai nascosto l'intenzione di schierare anche le tv su quella linea. Quando si tratta dei Berlusconi, distinguere l'interesse politico da quello aziendale è sempre impossibile. E' probabile che gli interessi dell'azienda, soprattutto a livello europeo, cozzino frontalmente con una destra messa di nuovo al bando.

Difficilmente si spiegherebbe altrimenti la pressione anche di Gianni Letta, che è difficile immaginare sia mosso solo da afflato politico libertario. Ma è probabile che in questo caso azienda e sincera propensione di Marina e Piersilvio si sposino perfettamente. I due sognano davvero una destra molto diversa e per certi versi opposta a quella di Salvini e un po' anche di Meloni. Forse non hanno neppure dimenticato le tensioni che ci furono nell'ultimo scorcio della vita del Cavaliere tra lui e la stessa in ascesa di FdI. Di fatto, probabilmente per una somma di motivi, dietro alla svolta azzurra ci sono loro persino più di quanto non ci sia lo scontro europeo con il Ppe.