Uno schiaffo tira l’altro, e a questo punto la situazione nel centrodestra rischia di sfuggire di mano. Forza Italia replica all’accusa di difendere una proposta fuori dal programma del centrodestra e afferma invece che «serve proprio a realizzarne due punti precisi», a partire dall’integrazione. Andrea Crippa, vicesegretario leghista, in serata attacca frontalmente il partito azzurro: «Ma gli elettori hanno votato Fi per votare il programma del centrodestra o le proposte del Pd e dei comunisti?». Chi abbaia e chi è davvero pronto a mordere? Il dubbio che ad abbaiare senza alcuna intenzione di affondare i canini siano sia Antonio Tajani che Matteo Salvini è largamente prevalente nell'intero spettro della politica italiana. Non che ci si aspettino retromarce dal parte del leader azzurro.

Per Fi, ormai, la campagna ' liberale' sui diritti diventata una specie di nuova identità alla quale già non potrebbe più rinunciare facilmente. Ma si sa come funzionano le cose in Parlamento quando non si tratta di provvedimenti governativi: il passo è lento, lentissimo. Ci sono le varie urgenze, in primo luogo la manovra e in generale l'economia. Basterà che Tajani non forzi troppo la mano e la bomba finirà nella solita palude. Se così non fosse, però, la Lega potrebbe davvero arrivare alla crisi di governo, ove Fi votasse con l'opposizione? Salvini è il massimo esempio di ringhiosità priva di conseguenze, dunque immaginare che rovesci davvero il tavolo non è facile.

Ma è anche vero che il capo leghista è stretto d'assedio da più parti, ha di fronte un congresso che non sarà facile con la vecchia guardia sul sentiero di guerra, è insidiato da destra al generale che proprio lui ha portato nell'Europarlamento e rischia grosso nel referendum sull'Autonomia. Dunque, per una volta, le sue potrebbero essere minacce meno inconsistenti del solito. Molto dipenderebbe da FdI. Il partito della premier, per ora, si trincera dietro la barricata del programma: lo Ius Scholae, segnala il capogruppo Foti, non era nel programma della coalizione e neppure in quello dei singoli partiti.

Molto meglio dunque evitare lacerazioni nella maggioranza. Non sfugge però che i tricolori evitano di pronuciarsi nel merito e neppure sfugge il silenzio di Giorgia Meloni. Con la dovuta discrezione, in realtà, non mancano i fratelli disposti ad ammettere che in linea di principio una proposta come quella di Tajani, avanzata a suo tempo anche da loro, potrebbe essere accettabile se in un futuro non vicinissimo si dovesse decidere in Parlamento. In quel caso, insomma, FdI cercherebbe probabilmente di ricucire e mediare, irrigidendo ulteriormente le maglie già strette dello Ius Scholae modello Fi per renderlo accettabile anche alla Lega. Però sarebbe probabilmente un grosso errore derubricare la tempesta a temporale estivo destinato a essere dimenticato con l'autunno e con i grossi guai in materia di bilancio.

La linea imboccata da Fi non è effimera ma strategica e risponde peraltro anche alla richiesta piuttosto imperiosa della famiglia Berlusconi. Su quella strada, il sentiero di una destra aperta ai diritti civili, Fi proseguirà e prima o poi, inevitabilmente, il rischio di collisione con una Lega che punta esattamente sul contrario sarà inevitabile. Se non sarà sullo Ius Scholae, che appunto si può sempre rimandare, sarà sulle soluzioni per il nodo delle carceri sovraffollate, che invece dovrà essere affrontato prestissimo. Salvini, a propria volta. non può permettersi di restare indifferente se una parte della coalizione sterza su elementi identitari per tutta la destra ma in particolare proprio per il suo elettorato e ancora meno può farlo quando si ritrova, come in questo momento, stretto all'angolo.

C'è un motivo in più, poco visibile in Italia ma fondamentale in Europa, che spingerà entrambi i partiti alleati di FdI a tirare la fune da parti opposte. Né la destra radicale di Orban, Salvini e Le Pen né il Ppe di von der Leyen e Weber hanno preso bene la scelta della premier italiana di non schierarsi né con gli uni né con gli altri e continueranno a strattonarla in casa per costringerla a schierarsi in Europa. Non significa che il governo sia destinato a cadere presto: l'interesse comune è comunque opposto e si tratta di un mastice possente. Ma in queste condizioni governo e maggioranza arriveranno nel modo peggiore all'appuntamento con il referendum sull'Autonomia e lì, invece, il rischio di un crollo rovinoso c'è tutto. In un clima di contrapposizione a tutto campo, infatti, difficilmente la base azzurra, che già detesta l'autonomia essendo ormai radicata soprattutto nel sud, farà all'alleato/ rivale il favore di disertare le urne per far mancare il quorum. E ancor più difficilmente i vertici forzisti si spenderanno davvero per celebrare una vittoria della Lega.