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Saranno pure tutte «cassate», come le “cassa” ironicamente Matteo Salvini, ma le turbolenze interne alla maggioranza non possono essere solo frutto della fantasia di qualche giornalista. Perché Movimento 5 Stelle e Lega non si nascondono neanche più dietro all’anonimato di un retroscena per lanciarsi segnali belligeranti: leader e gregari ormai si scontrano alla luce del sole. E non serve che Salvini neghi di aver mai pronunciato quel «qui comando io» nel faccia a faccia con Giuseppe Conte, a gettare benzina sul fuoco ci pensano il ministro leghista alla Famiglia, Lorenzo Fontana e il sottosegretario M5S alla presidenza del Consiglio, Vincenzo Spadafora. Il primo confessa al Corriere della Sera di essere stato insultato nell’ultimo mese più «dai 5 stelle che dalle opposizioni...». Poi mette nel mirino proprio il collega grillino che lo aveva accusato di non aver fatto nulla di concreto per la famiglia: «Forse Spadafora dormiva», dice piccato il ministro Fontana.
Il diretto interessato, l’uomo delle Pari opportunità nel governo, replica affossando definitivamente un altro provvedimento caro al Carroccio: il decreto Pillon sull’affido condiviso. «Quel testo non arriverà mai in Aula, non se ne parla più. È archiviato», taglia corto in tv Spadafora, convinto che ora si debba «scrivere un nuovo testo, che probabilmente prenderà anche qualcosa di buono, perché qualcosa di buono poteva anche esserci, ma molto poco, per andare incontro ai temi del diritto di famiglia, ma non come aveva pensato Pillon». Non solo, il sottosegretario grillino sceglie di spargere sale sull’altra ferita che nel weekend ha approfondito le distanze tra Lega e Movimento: il congresso mondiale delle famiglie di Verona. «Siamo stati insieme con Fontana due settimane, dieci giorni prima del convegno a New York alla Conferenza mondiale sulle donne», racconta Spadafora, «e non ho fatto altro che ricordargli che era assurdo il fatto che lui andasse lì e che erano ridicole le posizioni di Verona», chiosa senza fronzoli, provocando la reazione infastidita da parte leghista, che torna a sventolare il contratto di governo per zittire l’alleato. Il tutto mentre sulla maggioranza piovano le preoccupazioni dell’Ocse sulla crescita, gli avvisi di Giovanni Tria sul sistema bancario e le stoccate di Confindustria sul voto anticipato.
Eppure, per il ministro dell’Interno, quelle sulle tensioni a Palazzo Chigi sono solo voci infondate. «Dicono che siamo litigiosi, fascisti, razzisti», dice Salvini. «Dopo nove mesi gli italiani hanno toccato con mano: abbiamo fatto tante cose e tante le stiamo preparando. Al di là delle chiacchiere che posso fare con il presidente Conte davanti a un buon bicchiere di rosso, il Governo va avanti, figurarsi se mollo», sminuisce il segretario della Lega, che tuttavia non ritiene necessarie smentite o «note ufficiali, perché non si possono rincorrere le fantasie», spiega. «Io sono impegnato a governare con il Movimento 5 stelle, a collaborare e a confrontarmi con loro. Tutto il resto sono invenzioni, retroscena senza fondamento».
Il capo politico del Movimento 5 Stelle, dal canto suo, prende per buone le rassicurazioni dell’altro vice premier, ma non rinuncia a mettere qualche puntino sulle i. «Abbiamo già avuto uomini da soli al comando che hanno fatto abbastanza danni», dice Luigi Di Maio, a proposito delle voci sull’incontro tra Salvini e Conte. «Il governo deve andare avanti e fare le cose», aggiunge il vice premier pentastellato. La tregua riparte da qua. Reggerà fino alla prossima provocazione. E, a giudicare dalle ultime settimane, non ci vorrà molto tempo.