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«Ieri ho parlato di congresso e delle mie idee e Beppe mi ha mandato a quel paese. Io ho delle idee e, se non siamo d’accordo, francamente, amen...». Lanciato nella sua corsa verso la leadership del Movimento 5 Stelle, Alessandro Di Battista non sembra intenzionato a fermarsi davanti a niente. E soprattutto a nessuno. Neppure se l’unico vero intralcio verso la sua scalata si chiamasse Beppe Grillo. À la guerre comme à la guerre, è lo spirito con cui l’ex parlamentare ha deciso di affrontare questa sfida, incassando persino lascoppola del “garante” arrivata via tweet ( «ci sono persone che hanno il senso del tempo come nel film ' Il giorno della marmotta', ha scritto Grillo, accostando Dibba ai terrapiattisti) come se nulla fosse. I rapporti tra i due sono ormai ai minimi storici e lo scontro, un tempo sottorraneo oggi in campo aperto, rischia di sbriciolare il Movimento. Sullo sfondo, gli stati generali, il congresso tanto atteso da Dibba per lanciare l’opa al partito ma la cui convocazione potrebbe addirittura evaporare dopo l’alt intimato da Grillo. Che resta “garante” del Movimento, dunque dominu a vita delle regole pentastellate.
La partita è appena cominciata e non tutti i giocatori sono già posizionati sul terreno di gioco, perché le squadre non sono ancora state formate. Per ora, gli “schieramenti” vedono Di Battista e Davide Casaleggio da un lato, Beppe Grillo e Roberto Fico dall’altra. Scopo del gioco: disarcionare o incoronare Giuseppe Conte. Il comico genovese vorrebbe farlo accomodare sul trono che fu prima suo e poi di Luigi Di Maio: capo politico del M5S, disinnescando le spinte radicali con accenti destrorsi interpretate dall’ambizioso Alessandro. Perché senza una guida forte ed equilibrata, il Movimento potrebbe finire a raccattare percentuali da «prefisso telefonico», è il timore dell’“elevato”. In alternativa, il progetto di Beppe prevede l’istituzione di un direttorio ( formula già sperimentata in passato con esiti disastrosi) per scongiurare la concentrazione del potere nelle mani di una sola persona. «Non credo sia opportuno commentare vicende interne ad una delle forze politiche che sostengono la maggioranza», dice al momento il presidente del Consiglio, professando neutralità.
Il gruppo parlamentare, l’unica base 5s, per ora assiste alla singolar tenzone senza creare solchi troppo profondi con nessuno dei contendenti, anche se il fondatore riesce ancora ad ammaliare molte sue creature. E non solo per una questione di timore reverenziale. Il tallone d’Achille della campagna elettorale di Dibba, infatti, sta nei suoi slogan, a partire dalla sacralità della regola dei due mandati. Una sciagura da rispedire al mittente per tutti quei deputati e senatori costretti a tornare a casa e per questo freddi, se non ostili, nei confronti delle sirene dell’ex parlamentare. Non solo, il sostegno di Casaleggio alla scalata al trono, non aiuta Dibba a sembrare più simpatico agli eletti, costretti a versare ogni mese 300 euro nelle casse di Rousseau. Ma la partita è solo all’inizio e non è detto che il leader scapigliato del Movimento non decida di rivedere alcune sue posizioni per conquistarsi la base. La regola dei due mandati, ad esempio, potrebbe in breve tempo non essere più un tabù. Soprattutto perché se rimanesse in piedi la stessa Virginia Raggi, alleata di percorso dell’ex deputato, sarebbe costretta a rinunciare alla ricandidatura.
«Ha ragione come sempre Beppe», mette subito in chiaro Roberta Lombardi, prendendo le distanze dall’ex collega e dallasindaca di Roma. «Non si può far ripetere a questo paese all’infinito lo stesso giorno, lo stesso film, lo stesso copione, fatto di forze politiche che pensano prima a se stesse e poi al paese», aggiunge Lombardi. Col leader romano si schierano invece apertamente solo Barbara Lezzi, Dalila Nesci, Ignazio Corrao a Giulia Grillo. Resta da capire però come si muoverà Luigi Di Maio, sempre azionista di maggioranza dei gruppi parlamentari. Il ministro degli Esteri condivide con l’ex amico l’ostilità a Conte, il disagio per il posizionamento a sinistra e il sogno di un terzo polo. Ma ad allontanarlo da Di Battista ci sono ancora Davide Casaleggio, il vincolo del doppio mandato e i modi troppo sbrigativi. Nessuno dei due, da solo, avrebbe la forza di sottrarre il partito a Grillo e al premier, e alla lunga potrebbero scegliere di allearsi. Di certo c’è che l’ex capo politico ha ripreso saldamente il controllo della base: alza il telefono e contatta personalmente deputati e senatori per risolvere eventuali problemi, chiedere pareri e offrire consigli. Come un padre distratto che torna a occuparsi dei figli smarriti. Qualsiasi progetto per il futuro del Movimento non potrà fare a meno di lui, quel Di Maio che aveva sciolto la cravatta per tempo, aspettando che i suoi stessi nemici lo implorassero a tornare.