È Last Man Standing e lo è da un pezzo, l’ultimo della covata comunista cresciuta nella Fgci degli anni ' 60 a fare politica attiva, inventare scenari, impostare strategie. Massimo D’Alema dispensa ogni tanto sentenze ma per il resto è fuori gioco. Walter Veltroni fa lo scrittore e il regista, il passato da leader politico se lo è lasciato alle spalle. Fabio Mussi si è ritirato quasi a vita privata. Goffredo Bettini, l’unico del mucchio ad aver scelto il ruolo del puparo invece che quello del protagonista, mai sul proscenio ma sempre dietro le quinte, invece è ancora al suo posto. Mezzo partito finisce puntualmente e anche stavolta per seguirlo adottando i suoi disegni, l’altra metà non vede l’ora di pensionarlo una volta per tutte.

L'architetto dell’alleanza Pd- M5S è lui e su di lui si concentrano le frecciate della minoranza ufficialmente “preoccupata” dalla svolta sempre più pentastellata della segretaria.

Eppure nella strada che il grande suggeritore indica a Elly Schlein non c’è nulla di sorprendente. Bettini è stato il primo e il più determinato a scommettere sull’ “avvocato del popolo” sin dai tempi del governo giallorosso. L’impostazione dell’allora segretario Nicola Zingaretti, che considera Bettini una sorta di 2padre politico” ed è pienamente ricambiato, viene dall’ “eminenza grigia” del Nazareno per eccellenza. La si può riassumere con la formula adottata appunto di Zingaretti: «Conte è insostituibile»».

Invece fu sostituito: da Mario Draghi dopo una manovra di fino orchestrata da Renzi. Bettini fece l’impossibile per evitarlo e fu sconfitto dall’abilità di Renzi che per l’occasione coniò la sarcastica espressione “corrente thailandese”, alludendo all’abitudine di Bettini di passare buona parte dell’anno in Thailandia, dove aveva comprato casa nell’isola di Kho Samui. Poi al posto di Zingaretti si insediò al vertice Letta e la paziente costruzione di Goffredo, l’alleanza organica e stabile con i 5S di Conte, franò seppellendo però sotto i detriti proprio Letta e la sua idea di Pd.

Eppure con il Renzi segretario del Pd e premier Bettini era stato forse l’unico esponente della vecchia guardia a non intrattenere rapporti da divieto d’incontro. Aveva scommesso sul ragazzo di Rignano, fedele a una scuola politica doppia: inguaiano nei sentimenti, anche se col vecchio leader della sinistra comunista avrebbe rotto dolorosamente i rapporti ai tempi della svolta di Occhetto che Ingrao contrastò guidando il Fronte del No e Bettini sostenne «con la testa, non con il cuore», ma anche allievo di Paolo Bufalini, da cui si abbeverava di pragmatismo togliattiano. Con Berlinguer invece i rapporti non decollarono mai. Il sardo diffidava del giovane comunista, Bettini temeva la rigidità moralista del capo.

Appassionato di cinema e politica Bettini si era iscritto al partito giovanissimo, a 14 anni ed era arrivato a guidare la Fgci romana, la più forte d’Italia, nel 1975. La scelta della sua vita la fece nel 1993, quando gli proposero di candidarsi con elezione quasi certa a sindaco di Roma. Declinò. Temeva il ritorno della depressione, di cui aveva sofferto, ma soprattutto capì che la politica che amava non passava per l’esercizio di quello che definisce “il potere diretto” ma per la capacità di tirare i fili senza apparire troppo e senza bisogno di gradi e galloni. Di potere ne ha esercitato moltissimo, soprattutto ma non solo a Roma. Si è inventato la candidatura Rutelli, nel 1993. È stato la mente del “modello Roma” con il Veltroni sindaco della Capitale e quello non era solo un modello di amministrazione locale, sia pure su grande scala, ma la vetrina del nascituro Pd. Non che, a conti fatti, il saldo possa dirsi precisamente positivo, specialmente per i conti di Roma che nei due anni del secondo mandato Veltroni sono precipitati.

Oggi il burattinaio del Pd si muove su due fronti diversi. All’interno mira a rafforzare la segretaria strutturando una sorta di corrente di sinistra che dovrebbe sostenerla con maggior perizia della cerchia ristretta e per lo più esterna al partito che Schlein si è portata dietro al vertice del Nazareno. La segretaria, pare, apprezza l’interessamento fino a un certo punto: teme il commissariamento.

All’esterno Bettini è di nuovo il messia occulto dell’alleanza strategica con Conte e Avs. Forse è una strada obbligata, anche se non per questo Goffredo ha scelto di imboccarla. Ma è una strada molto rischiosa. Conte, a differenza dei tanti cavalli sui quali Bettini ha di volta in volta puntato, Rutelli incluso, non ha radici di sinistra e ha già dimostrato di saper essere uomo per molte se non per tutte le stagioni. Oggi punta su un Movimento fortemente sbilanciato a sinistra. Domani chissà. Inoltre l’ex premier ha un’idea fissa che purtroppo cozza frontalmente con i progetti di Schlein: vuole a tutti i costi tornare a palazzo Chigi e per questo deve riuscire a soppiantare la segretaria del Pd come candidato e leader della coalizione. Si sta muovendo in questa direzione e lo sta facendo piuttosto bene. Ma il nodo prima o poi arriverà al pettine.