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Quello tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo è senza dubbio uno scontro di potere. Non privo però di risvolti politici che, secondari oggi, potrebbero presto rivelarsi essenziali e non privi di aspetti paradossali. Statuti a parte, quello di Conte è senza dubbio un tentativo di modificare radicalmente il dna del Movimento fondato da Grillo: da movimento radicale che teneva insieme suggestioni diverse, spesso caotiche e superficiali ma tutte animate da uno spirito anti- sistema in senso complessivo a partito moderato che ambisce a rappresentare il ceto medio. Di fronte a un rovesciamento di tale portata non stupisce che il passaggio sia tumultuoso. Stupisce che lo scontro si articoli tutto intorno a faccende di ruolo e statuto e bilanciamento dei poteri. Come se la politica si riducesse a questo.
Dunque da un lato Giuseppe il Moderato, con tutte le sue coloriture democristiane incluso l'ottimo rapporto con la Curia, dall'altro Beppe il Visionario Radicale. Logica vorrebbe che il primo fosse vicinissimo al governo in carica, che di radicale non ha molto, con il secondo sempre più insofferente e scalpitante. Ma si sa che la logica politica in Italia non ha diritto di cittadinanza. Quindi la situazione è opposta. Un po' per comprensibili questioni personali, un po' per non perdere l'ultimo filo che tiene insieme il Movimento, il riottoso è Conte, e tra i capi d'accusa che i suoi ufficiali muovono all'Elevato Garante c'è proprio aver trascinato il Movimento nel sostegno al governo del banchiere. Grillo invece, pur con qualche tono abbassato rispetto alla formazione del governo, resta vicino al capo del governo.
Non finisce qui. I Moderati anti- Draghi di Conte sono fidanzati in casa, con tanto d'anello e partecipazioni di nozze già stampate, con il partito che si potrebbe definire a ragione veduta come quello dei Moderati per Draghi, il Pd. In materia Letta non ha alcuna libertà di movimento. Il suo Pd non può che ribadire imperitura fedeltà al governo Draghi e ripetere che tra quel governo e il Nazareno il feeling è perfettissimo e inossidabile. Lavoretto relativamente facile finché i 5S parlano per bocca di Grillo, che su questo governo ha scommesso moltissimo, o meglio ancora tacciono come del resto fanno da mesi. Molto meno semplice ove l'alleato principale, la speranza della sinistra incarnatasi miracolosamente nell'avvocato pugliese iniziasse a bombardare il governo, pur senza neppure prendere in considerazione l'ipotesi di togliergli la fiducia. A quel punto sostenere il dissenso e fare finta di niente, arte nella quale Salvini e Meloni si stanno dimostrando maestri, diventerebbe per il Pd un'impresa titanica. In materia il Nazareno è molto meno versatile della controparte.
Certo non è escluso che una eventuale separazione consensuale dei 5S, parte con Peppe, parte con Beppe, non implichi l'ennesimo rovesciamento dei ruoli. Se i duri guidati da Di Battista e Casaleggio restassero con il comico, chiederebbero in cambio di aprire loro il fuoco sul governo e a quel punto sarebbe Conte a dover sorridere a un governo che odia. Ma anche questo è tutto da vedersi perché certamente resterebbero i pentastellati Di Maio e i ministri, e dunque forse sarebbero i duri, i radicalissimi alla Barbara Lezzi a scivolare invece verso il Moderato di Volturara Appula. In entrambi i casi, e in tutta la vastissima gamma delle possibili composizioni, la stabilità dell'ancora solo virtuale alleanza sarà terremotata.
Con un problema in più. In quell'alleanza Conte ha tutte le intenzioni di figurare come candidato premier e del resto il suo valore aggiunto, considerato a torto o a ragione enorme, dipende tutto e solo dalla popolarità dell'uomo, dalla presunta capacità di convogliare su di sé una percentuale decisiva di voti. Ma si sa che dopo le scissioni indicare uno dei divorziati come prescelto significa sbattere contro il veto dell'altro ex coniuge.
A sinistra il panorama è confuso, poco confortante. Ma c'è una possibilità anche più esiziale: quella che Conte scelga di non scegliere, lasci tutto in sospeso, rinvii a settembre l'eventuale passo senza ritorno, la fondazione di un suo partito. A quel punto sì che a sinistra la nebbia diventerebbe troppo fitta anche per muovere il più piccolo passetto.