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Giuseppe Conte, leader del Movimento Cinque Stelle
La convocazione di una manifestazione di piazza a giugno, contro il dl Lavoro, da parte di Giuseppe Conte, è segno che il leader del M5S ha preso una decisione: quella di insistere nel contendere al Pd l'egemonia della opposizione di sinistra. Anche al “nuovo” Pd di Elly Schlein. Non era scontato e non è scontato che la posizione assunta oggi regga nel tempo. Per capire il dilemma dell'avvocato pugliese bisogna ricapitolare il suo percorso politico e fare il punto sullo stato del Movimento oggi.
La rottura col Pd dell'estate scorsa è stata subìta più che decisa dall'allora traballante leader dei 5S che aveva resistito per mesi alle pressioni dell'ala dura per arrivare allo scontro con un Draghi che peraltro non perdeva occasione per stuzzicare un Movimento che evidentemente gli sembrava poco affidabile. In ogni caso, anche dopo la decisione di irrigidirsi sul termovalorizzatore romano inserito in un dl Aiuti, Conte non prevedeva che lo scontro implicasse la rottura dell'alleanza elettorale con Letta. La collocazione politica era, da alcuni punti di vista almeno, ancora quella assunta al momento della sua improvvisa entrata in scena come capo del governo gialloverde. Era un leader moderato che temperava l'irruenza della sua coalizione quando gli alleati dei 5S erano i leghisti. Era ancora un leader a modo suo centrista, deciso a non farsi etichettare come “di sinistra”, quando i nuovi alleati erano targati Pd.
La rottura con Letta cambiò tutto. Conte capì, con la rapidità e prontezza che nessuno gli ha mai negato, che quella rottura anziché fatale per il Movimento come la considerava il Pd, poteva essere un'insperata occasione di salvezza. Con una virata decisa l'avvocato indirizzò il Movimento, già “né di destra né di sinistra”, verso l'occupazione dello spazio vacante lasciato libero a sinistra proprio dal Pd di Letta. Il voto reale e poi in sondaggi gli diedero ragione e lo premiarono. Per Conte la vittoria imprevista di Elly Schlein è stata una pessima notizia. L'intera strategia impostata sulla competizione con un Pd centrista per poi arrivare all'alleanza al momento delle elezioni è franata con quella elezione. La nuova segretaria rioccupa infatti proprio quello spazio già abbandonato dal Pd e che Conte mirava a ereditare. La curva discendente, drastica e immediata, nei sondaggi testimonia di quanto concreto sia il problema.
In parte almeno il guaio è conseguenza dei limiti ormai noti di un leader che, cinque anni dopo l'irruzione sulla scena politica, non è più un misterioso sconosciuto. Le esitazioni dell'uomo sono proverbiali e nello stesso Movimento oggetto di critiche crescenti da parte di chi lo vorrebbe molto più attivo e presente anche all'interno del M5S. Conte si è lasciato sfuggire l'occasione per radicare il posizionamento a sinistra con scelte tangibili come una manifestazione di massa contro la legge di bilancio dell'anno scorso. Insomma, non ha eretto bastioni per fronteggiare una controffensiva del Pd che non riteneva possibile, considerando certa, come in realtà quasi tutti, la vittoria di Bonaccini.
Per questo alcuni osservatori, come Paolo Mieli, non escludevano la possibilità di una ulteriore riconversione, un passo di danza nell'eterno balletto in cui sono impegnati da anni Pd e 5S che avrebbe riportato Conte al suo antico centrismo, essendo adesso quello il bacino politico sguarnito da una Schlein che scommette sull'identità “di sinistra”. Invece Conte ha scelto di ingaggiare corpo a corpo proprio per contendere al Pd l'egemonia su quell'area politica, sino a convocare adesso la manifestazione di massa sulla quale aveva preferito soprassedere l'autunno scorso. Forse lo ha fatto pensando che i 5S, già frastornati dal frullatore in cui si trovano da anni, non avrebbero accettato il riposizionamento ma di fatto il capo ormai incontrastato dei 5S ha imboccato quella strada, ingaggiando una sfida difficile e che sarà impossibile vincere senza quell'asse con i sindacati, e in particolare con la Cgil, al momento esile.
Ma anche Elly Schlein ha i suoi guai, la resistenza sorda di un partito che sin dalla nascita si era sbilanciato al centro. L'esito della sfida è quindi incerto. Ma se Conte non ce la dovesse fare la previsione centrista di Mieli, smentita oggi dai fatti, potrebbe avverarsi domani.