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GIORGIA MELONI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
A forza di pensare a come risolvere i problemi all'interno della coalizione, può succedere che si perdano di vista quelli del cortile di casa propria. Giorgia Meloni ha scelto la strada dell'ironia per ripresentarsi ai propri elettori dal proprio ufficio ai piani nobili di Palazzo Chigi, esorcizzando le polemiche degli ultimi giorni sulla sua presunta sparizione dai radar, aggiungendo di avere l'energia giusta per riprendere in mano tutti i dossier più scottanti.
Il primo banco di prova, come è noto, sarà domani col vertice di maggioranza che la vedrà allo stesso tavolo con Antonio Tajani e Matteo Salvini, i due protagonisti dell'estate ad alta tensione del centrodestra su Ius scholae e Autonomia. La presidente del Consiglio si dannerà per ridurre al minimo le turbolenze della maggioranza nella delicata fase riservata all'impostazione e all'approvazione di una Legge di Bilancio nuovamente sottoposta ai vincoli Ue e segnata dalla penuria di risorse.
Ma c'è un fronte che, fatalmente, in questa fase iniziale della legislatura Meloni non ha potuto presidiare al meglio, anche se ha delegato tale compito alla sorella – e dirigente storica, non va mai dimenticato – Arianna: quello del governo di FdI e dei relativi gruppi parlamentari. Alla riapertura dei lavori parlamentari, fissata per il 4 settembre, nella sala Tatarella, che ospita le riunioni dei deputati di via della Scrofa, si terrà l'esecutivo nazionale del partito. Non è un appuntamento di routine, perché l'ultima volta è stato convocato da Meloni due anni fa, all'inizio dell'avventura della leader come capo dell'esecutivo, e si configura pertanto come una punto della situazione midterm, con contenuti politici sensibili.
Ma la cosa più importante è che la premier aprirà personalmente i lavori con la propria relazione, che non potrà sottrarsi dunque ad esprimere il proprio punto di vista in maniera diffusa e univoca su temi scottanti come lo Ius Scholae e l'Autonomia, ma anche su questioni di giustizia come l'emergenza carceri e la custodia cautelare, la legge Severino, e l'iter parallelo del premierato e della separazione delle carriere.
Ma c'è un elemento che a Meloni preme non meno di altri, e cioè la necessità di inviare al partito un segnale chiaro di attenzione a ciò che si muove sottotraccia e di prevenire contraccolpi, dopo l'affaire estivo della presunta iniziativa della magistratura per indagare la responsabile della segreteria politica di FdI, con l'accusa di traffico di influenze. Se da una parte la “lontananza” della premier non ha certo ridotto il partito a una Babele di posizioni paragonabile a ciò che sta accadendo nella Lega o che storicamente avviene nel Pd, dall'altra alcune uscite o dichiarazioni sibilline dell'ultimo periodo sono il sintomo di una certa fibrillazione.
Per dirne una, l'esecutivo di mercoledì prossimo dovrà ratificare l'espulsione del deputato Andrea De Bertoldi, cacciato dai probiviri in modo irritualmente severo per un presunto conflitto d'interesse, che si era recentemente fatto notare per aver espresso posizioni “eretiche” sulla linea del partito, arrivando a chiedere la cancellazione della fiamma tricolore dal simbolo.
Poi c'è l'inquietudine garbata ma costante dei “Gabbiani” facenti riferimento al vicepresidente della Camera Fabio Rampelli: dopo il polverone sollevato dal presidente della commissione Cultura di Montecitorio, Federico Mollicone, per la frasi con cui quest’ultimo ha messo in discussione le sentenze di colpevolezza per i neofascisti rispetto alla strage di Bologna, ci sono le frecciatine ricorrenti dello stesso Rampelli. In una recente intervista, pur in mezzo a molteplici attestazioni di stima per la leader, il numero 2 della Camera non ha lesinato a Meloni l’epiteto di “accentratrice”. E ogni accentratore che si rispetti non può astenersi per troppo tempo dal marcare il proprio territorio.