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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini nell’aula del Senato durante le comunicazioni in vista del Consiglio europeo
Probabilmente sarebbe successo più avanti, magari dopo l'insediamento ufficiale di Donald Trump alla Casa Bianca, ma quello che è accaduto ieri con la dichiarazione di Elon Musk sui giudici italiani è un nodo che prima o poi sarebbe venuto al pettine. E che investe la delicata sfera dei rapporti tra Usa e governo italiano e della sovranità del nostro paese, ma anche quella degli equilibri interni al centrodestra. Non è stata certamente una buona notizia per la premier Giorgia Meloni, quella dell'improvvida uscita del tycoon e ben presto spin doctor più famoso del mondo. Il quale ha attaccato frontalmente le toghe italiane che hanno espresso sentenze contrarie ai trasferimenti dei migranti in Albania, affermando che «se ne dovrebbero andare».
Sul fronte internazionale, un episodio di questo tipo può essere letto come un'ingerenza dello staff del presidente eletto americano in una questione squisitamente interna di un paese seppure alleato, e non a caso è su questo tasto che hanno spinto nelle ore successive al post sui social di Musk, tutti gli esponenti dell'opposizione intervenuti per censurare il miliardario. Il che, per una leader di una forza politica e di un esecutivo che ha per missione la difesa della sovranità e dell'orgoglio italiano, equivale a mettere il dito nella piaga. Soprattutto perché Musk è la figura su cui Meloni ha puntato maggiormente per portare a compimento le manovre di riavvicinamento a Trump, dopo che i vincoli connessi al suo status di presidente del Consiglio l'avevano portata – senza troppe difficoltà – a maturare un buon feeling con Joe Biden.
Ma l'aspetto politicamente più imbarazzante di questo episodio, probabilmente, è l'oggettiva difficoltà in cui Musk ha messo Meloni rispetto alla prevedibile reazione di Matteo Salvini, che in questi ultimi giorni non ha mai perso l'occasione per ribadire la propria primazia tra i sostenitori italiani del prossimo presidente Usa e ha cavalcato in tempo record l'attacco dell'uomo più ricco del mondo ai nostri giudici. Nel pieno di un crescendo di toni che il vicepremier sta operando da tempo nei confronti della magistratura (al ritmo di tre/ quattro comunicati al vetriolo al giorno), quello di Trump si è configurato come una manna dal cielo, un assist vero e proprio per Salvini, che ha avuto ancora una volta buon gioco nel poter manovrare in maniera più spregiudicata rispetto alla premier, con l'evidente intenzione di trarne un beneficio in termini di consenso, in costanza tra l'altro di una campagna elettorale regionale, nella quale resta aperta la questione della competizione con Forza Italia. «Elon Musk ha ragione», ha subito sentenziato Salvini, il 20 dicembre potrei ricevere una condanna a sei anni di carcere per aver impedito gli sbarchi di clandestini in Italia quando ero ministro dell'Interno. In una prospettiva internazionale, tutto ciò appare ancora più incredibile».
Un modo per incalzare a destra Meloni, ma anche per tenere alto il tono dello scontro dell'Anm, che di fronte alle parole di Musk si è in un certo modo ricompattata. Per il presidente Santalucia «Musk si è preso gioco della sovranità dello Stato», e con lui hanno concordato tutte le componenti dell’Associazione, mentre nel Csm il consigliere Marco Bisogni ha osservato che «Musk pecca di superficialità sia per modalità che per contenuti». La controreplica del numero uno di via Bellerio la dice lunga: «Consigliamo all’Associazione nazionale magistrati», ha detto Salvini, «di dedicarsi meno a Elon Musk e più al lavoro». Una bagarre nella quale la presidente del Consiglio non vuole gettarsi, al netto delle durissime critiche indirizzate ai giudici di Roma e Bologna, autori dei pronunciamenti sfavorevoli al governo.
Nelle ore che hanno preceduto il commento del miliardario statunitense, infatti, era emersa la volontà, da parte della premier e dei suoi più stretti collaboratori, da una parte di proseguire sulla linea dei trasferimenti in Albania, demandando la soluzione del contenzioso a delle controdeduzioni da inviare alla Corte di Strasburgo in attesa di quello che dovrebbe essere il pronunciamento definitivo (con tempi per ora incerti), ma dall'altra di congelare la situazione almeno dal punto di vista dialettico, immaginando un modus vivendi con i magistrati fino alle prossime sentenze e in vista del primo via libera alla separazione delle carriere.
Il presidente del Senato Ignazio La Russa, non a caso, aveva confermato che il nostro governo si rimetterà alla Corte di Giustizia Ue, ma soprattutto che lo scontro tra poteri «non ci deve essere, non ci vuole essere, non ci può essere e io continuo a dire che di comune accordo maggioranza e opposizione, avvocati, magistratura debbono immaginare di perimetrare le funzioni di politica, magistratura e governo, perché le invasioni di campo, non sempre da una parte sola, ma insomma in qualche modo sono sotto gli occhi di tutti, devono cessare perché non aiutano l'Italia».
Proprio in funzione delle iniziative che l'Italia dovrà assumere sui rimpatri di migranti e su come procedere a livello giuridico nei confronti delle corti italiane (il 4 dicembre è atteso un pronunciamento della Cassazione sul Dl paesi sicuri) e di quella di Strasburgo, ieri a Palazzo Chigi, a margine del Cdm, si è svolto un vertice tra la premier Meloni, il ministro dell'Interno Piantedosi, quello della Giustizia Nordio e il sottosegretario Mantovano, su cui però a un certo punto sono piombate come macigni le parole di Musk.