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A Matteo Salvini i complimenti dei fascisti piacciono, il che, per inciso, non significa affatto che sia un fascista. Però un po' per guasconeria, un po' perché coglie a naso l'onda, certo non lesina civettamenti con gli apologeti del regime. Le frasi a effetto pronunciate in questi primi sei mesi di governo sembrano un Bignami degli slogan del ventennio, ' Me ne frego', ' Noi tireremo diritti', ' Molti nemici, molto onore'. L'ultimo arrivato nell'elenco degli attestati di stima provenienti dalla destra estrema, però, dovrebbe prenderlo con le pinze. Essere esaltati da Giorgio Franco Freda, editore padovano oggi vicino ai 78, come ' salvatore della razza' è o dovrebbe essere piuttosto imbarazzante persino per il ruggente cocchiere del nuovo Carroccio. Non per la patente di razzista ma perché a assegnarla è forse la figura più torbida dell'intero neofascismo italiano dal dopoguerra in poi.
Franco Freda gode di uno stato tutto sommato unico nella storia italiana. E' un uomo libero, vive ad Avellino, città d'origine del padre, si è sposato nel 2012 con la scrittrice e un po' vestale del ' fredismo' Anna K. Valerio, 39 anni, ha tre figli. Ha passato anni in carcere, è stato inquisito più volte, condannato a 15 anni per associazione sovversiva e in un altro processo a tre anni per istigazione all'odio razziale. Ma per il fatto a cui il suo nome resterà per sempre legato, la strage del 12 dicembre 1969 alla Banca nazionale dell'Agricoltura di Milano, Freda è stato assolto in via definitiva e poi, anni dopo, riconosciuto colpevole. Molti pensano che sulla strage che più di ogni altro episodio ha segnato la storia della Repubblica non esista una verità processuale. Non è così. La verità processuale attesta che la strage fu compiuta da «un gruppo eversivo nell'alveo di Ordine nuovo capitanato da Freda e Ventura». A mancare è solo la sanzione, resa impossibile dal divieto di riprocessare chi sia già stato assolto invia definitiva.
Quella cellula di Ordine nuovo che ricompare anche per la strage di Brescia del 1974, formata da Fachini, Maggi, Zorzi, Digilio, ruotava intorno a Freda che del gruppo era l'elemento carismatico, il teorico ma anche il leader operativo. Nei primi anni ' 60 Freda, milita nel Msi ma ci resta per poco: appena un anno che ricorderà come sgradevole. Il fascismo glia pare robetta ' troppo decmoratico per i miei gusti, troppo populista'. Mussolini poi gli sembra «un tribuno filantropo». Come buona parte del neofascismo postbellico Freda guarda al nazismo, a Hitler «il più grande statista, uomo politico rivoluzionario e condottiero militare della storia». Il maestro è Julius Evola e già nel 1963 il giovane Freda dà vita alle edizioni Ar, che si qualificano fin dal primo titolo ripubblicando il Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane di De Gobineau ma pubblicherà anche numerosissimi testi di Evola.
Ma Freda non vuole essere un uomo di idee che delega ad altri l'azione. Già nel 1966 lui e il fedele Giovanni Ventura fanno parte di quell'operazione militare nel quadro della “guerra non convenzionale” teorizzata nel notissimo convegno organizzato nel 1965 all'Hotel Parco dei Principi di Roma dall'istituto militare Pollio, dai contorni ancora oscuri e incerti, che va sotto il nome di Nuclei di difesa dello Stato. I due veneti si occupano delle migliaia di lettere spedite agli ufficiali: ' Spetta alle forze armate il compito di stroncare l'infezione prima che diventi mortale».
L'infezione è la sovversione montante, il comunismo alle porte. Eppure appena tre anni dopo Freda dà alle stampe il suo testo più importante, La disintegrazione del sistema, nel quale invita a un'alleanza tra fanatici del Terzo reich e della Cina maoista contro la borghesia, un testo che farà del padovano uno dei pilastri del ' nazimaoismo'. Probabilmente non si tratta del veicolo per la strategia di infiltrazione nella sinistra extraparlamentare che i nazisti di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale si avviano a praticare. A modo suo Freda, come buona parte del neofascismo di quegli anni, non pensava a farsi usare dalle strutture della ' guerra non convenzionale' contro il comunismo ma al contrario di usarle a vantaggi della propria rivoluzione.
Ma la teoria non basta. L'infiltrazione nella sinistra a scopo di provocazione parte davvero. Tra il 15 aprile e il 9 agosto del 1969 vengono attribuiti a Freda 8 attentati, coronati dalle bombe su 10 treni del 9 agosto. Poi arriva Piazza Fontana, la strage che da molti punti di vista comporta una cesura nella storia della Repubblica. Freda viene inquisito solo in un secondo momento, nonostante gli elementi che indicano lui e Ventura come responsabili dell'attentato emergano immediatamente. Il processo è eterno, scandito dalle trame del Sid, che cerca goffamente di coprire la vicinanza alle operazioni dei nazisti tramite l'agente Guido Giannettini, figura di raccordo, più infiltrato nazista nei servizi che non il contrario. Per Freda i termini della carcerazione preventiva vengono raddoppiati ma non bastano neanche così. Esce, viene spedito a Catanzaro in soggiorno obbligato. «Sono un soldato politico e non scappo», dichiara. Poi, quando nel ' 79 gli viene affibbiato l'ergastolo scappa. Arriva in Costarica con l'aiuto della ' ndrangheta. Viene arrestato di nuovo meno di un anno dopo. Tra annullamenti della Cassazione la vicenda si trascinerà ancora a lungo e si conclude con l'assoluzione definitiva, contro la quale nulla potrà in un nuovo processo. Nei processi stessi dà spettacolo: «Aspettate che mi metta i guanti: il ferro democratico non deve toccare le mie mani», dice una volta a una guardia carceraria. Libero, continua a darsi da fare. Nel 1990 il Fronte nazionale, che verrà sciolto ai sensi della legge Mancino e gli costerà una nuova condanna. Alla fine Giorgio Franco Freda sembra aver trovato il suo uomo della provvidenza. Per Salvini è un endorsement che fa solo danno.