Tutto inizia addirittura a febbraio, quando Pietro Pittalis si associa, unico deputato della maggioranza, alla richiesta di non lasciare la legge Giachetti-Bernardini su un binario morto. Il resto è storia, più o meno recente: prima il tentativo, seppur discreto, degli esponenti azzurri, a cominciare dal viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, di dirigere il decreto carceri verso soluzioni non distanti dalle liberazione anticipata prevista dal parlamentare di Italia viva. Quindi il netto no sia di Andrea Delmastro, per FdI, sia di Andrea Ostellari, per la Lega, a una pur minima apertura delle maglie che potesse arginare il sovraffollamento, con la scelta di lasciare, nel provvedimento “urgente” solo modifiche procedurali di incidenza modestissima. Fino alla “resa” di Forza Italia, che prende per buono quel pochissimo che nel decreto Carceri, in qualche modo, confluisce. Ma che poi, un minuto dopo il via libera alla conversione del testo, fa un po’ come Carlo Nordio: mentre il guardasigilli si impegna a discutere addirittura con il Capo dello Stato Sergio Mattarella di ulteriori interventi sulla tragica condizione dei penitenziari – quasi a riconoscere che quelli appena prodotti servono a pochissimo –, gli azzurri di Antonio Tajani inaugurano una lunga estate di visite negli istituti di pena, e lo fanno insieme con il Partito radicale, cioè con la “casa madre” di quel mondo da cui proviene la coautrice della proposta Giachetti, la presidente di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini appunto. Fino a ieri, alle nuove tappe del giro delle carceri italiane compiuto dai berlusconiani. A cominciare da quel Sisto che aveva tentato di ottenere qualcosa in più sul piano politico, dagli alleati e “coinquilini” a via Arenula Delmastro e Ostellari.

È storia, e non ci sarebbe alcunché di nuovo, se non fosse che negli ultimi giorni FI ha individuato un terreno molto promettente per marcare la propria differenza rispetto alla destra della coalizione, lo Ius scholae. Ed è chiarissimo come sulle carceri possa avvenire esattamente la stessa cosa. Il partito di Tajani, che pure da inizio agosto in poi ha insistito personalmente sulla necessità di assicurare un’esecuzione penale in linea con la Costituzione, ha a portata di mano il più semplice dei “bis”: forzare sul carcere con una proposta che sia magari a metà strada fra la legge Giachetti e il testo tropo light convertito in legge il 7 agosto

Di nuovo c’è dunque l’interesse dei berlusconiani a distinguersi. E il “metodo analogico” che può indurli, con la ripresa dei lavori, a presentare un proposta. In modo da cercare punti di convergenza anche con l’opposizione. E non si possono sottovalutare le suggestioni provenienti dai figli del Cav, Marina e Piersilvio in particolare, pronti a rafforzare su Mediaset un messaggio nuovo, e non più solo “securitario”, sulla detenzione.

Non è un percorso facile. Ci si può arrivare. Ma la strada per l’ipotesi di intese il più larghe possibili per venire a capo della terribile situazione penitenziaria è già individuato. Se n’è parlato ai più alti livelli, nel partito berlusconiano, già al principio del “tour” forzista nelle prigioni: sottoporre agli alleati i risultati di quello che, per gli uomini di Tajani, è da considerarsi a tutti gli effetti un monitoraggio. «Noi vogliamo portare ai nostri alleati gli elementi chiari, di percezione diretta, che abbiamo raccolto», spiega riservatamente un’autorevole fonte parlamentare di FI, «un conto è sentir dire, altro è vedere: vogliamo dire cosa non va, dove si deve intervenire. È chiaro che la nostra è una sensibilità diversa, c’è poco da fare. È chiaro a tutti. Ma ci sforzeremo di trovare sempre un punto di mediazione. Cercheremo di ricordare a tutti che, insieme con la necessaria funzione retributiva della pena, non si puoi mai trascurare la dignità».

Toccherà magari all’opposizione, e al Pd innanzitutto, offrire una sponda ai berlusconiani. Di certo, Elly Schlein e la responsabile Giustizia del Nazareno, Debora Serracchiani, sono impegnate, fin dai primi passi della legge Giachetti, a spingere per soluzioni che diano respiro alla popolazione detenuta. A cominciare dal ripristino delle misure introdotte all’epoca del covid e poi non rinnovate dall’attuale maggioranza, come la possibilità, per i “semiliberi” – cioè i reclusi che di giorno lavorano fuori dal carcere e che vi rientrano solo a dormire la sera – di restare lontano dagli istituti per tutte le 24 ore. Il Pd ci proverà, FI potrebbe mostrarsi pronta ad associare quella misura alle altre che intende proporre. E molto, naturalmente, dipenderà da Nordio, il ministro intenzionato a coinvolgere Mattarella nello sforzo che, a propria volta, intende compiere.

Vanno riconosciute due attuali condizioni, dell’iniziativa moderata e garantista sugli istituti di pena. Innanzitutto, il guardasigilli non ha ancora messo al lavoro i propri uffici per scrivere un nuovo provvedimento orientato alle soluzioni da lui stesso ipotizzate nei giorni scorsi, come il trasferimento ai domiciliari dei reclusi all’ultimo anno di pena. L’altro dato da tenere presente è che Forza Italia non potrà fare leva sulla scelta del profilo da indicare al posto del compianto Maurizio D’Ettore: il nuovo Garante nazionale, o meglio il nuovo presidente del collegio che costituisce quell’authority, sarà, come D’Ettore, indicato da Fratelli d’Italia. Fa parte degli accordi, e Tajani sa benissimo quanto sia insensato pretendere di forzare sul punto. È la ordinaria logica politica. Non sarà dunque quella, la strada di FI per arrivare a un cambio di rotta sull’esecuzione penale. La bussola resta l’esperienza diretta fatta in questo mese d’agosto, con i radiucali e, in alcuni casi, in solitudine. Dove si arriverà, dipende dai berlusconiani, ma non solo da loro.