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Il ministro degli Esteri Antonio Tajani durante il Question time al Senato a Roma, Giovedì, 12 Settembre 2024 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Foreign Minister Antonio Tajani during Question time at the Senate in Rome, Thursday, September 12, 2024 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
«Finché saremo noi al governo, non ci saranno nuove tasse per gli italiani». Antonio Tajani, incrociando i cronisti a margine dell'Assemblea di Confindustria a Bari, risponde laconicamente e in un certo senso in modo ruvido alle parole pronunciate giovedì dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti sulla necessità di non limitarsi a tassare gli extraprofitti delle banche o delle multinazionali ma quelli di tutte le aziende (comprese le medio-piccole) a causa della precaria situazione dei conti pubblici in cui sta maturando la Legge di Bilancio.
Dopo il malumore fatto filtrare da Palazzo Chigi a stretto giro nella stessa serata di giovedì, è arrivata anche l'energica presa di distanza da parte del segretario di Forza Italia, che assume un peso politico se possibile maggiore, dopo che nelle scorse settimane era montata la polemica sull'ipotesi di riproporre, da parte del Mef, la tassazione degli extraprofitti, vedendosi immediatamente alzare un muro dagli azzurri.
D'altra parte nell'agosto del 2023, quando il leader leghista Matteo Salvini annunciò la tassa “fuori sacco”, al termine cioè di un Consiglio dei ministri in cui questa non figurava all'ordine del giorno, gli sforzi dei parlamentari di Fi furono indirizzati a modificare la norma in sede di conversione del decreto.
La differenza sostanziale, rispetto a un anno e mezzo fa, è che allora la tassa fu sostenuta anche dalla premier, che era stata precedentemente consultata a riguardo dal segretario del Carroccio. E' vero che, stando alle parole di Giorgetti, in questo caso si tratterebbe di un prelievo generalizzato, e questo giustifica anche la chiusura in pesante ribasso di Milano di avant'ieri, ma in una fase delicata come questa, sospesa tra la presentazione del Psb e la distribuzione dei tagli, l'uscita del ministro ha suonato come una fuga in avanti, aggravata dal fatto che si tratta di un argomento inevitabilmente deleterio per tutta la maggioranza in termini di consenso.
Ed è proprio questo tema che marca la diversità di Giorgetti dal resto dei componenti dell'esecutivo: un ministro il cui flebile legame col partito di riferimento è stato ulteriormente indebolito dalla scelta di Salvini di sollevarlo dalla carica di vicesegretario, adducendo come motivazione l'incarico di governo, salvo poi nominare al suo posto il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon. Un ministro, Giorgetti, che fu tra i maggiori sostenitori dell'operazione Draghi (che non a caso lo portò per la prima volta a via XX settembre), bocconiano, considerato il volto più pragmatico e presentabile del Carroccio fin dai tempi di Umberto Bossi, tanto che è riuscito a rimanere in sella per 30 anni consecutivi, attraversando diverse stagioni politiche.
Il richiamo churchilliano alle “Lacrime e sangue” aveva già messo sul chi va là per la manovra contribuenti, imprenditori e ministri, ma il parlare apertamente di nuove tasse sembra avergli tolto definitivamente le remore alle critiche dell'alleato forzista. In questo caso, però, non si tratta dell'ennesimo episodio della competition interna al centrodestra, visti anche i mal di pancia mal celati di una parte della stessa Lega. Ciò che certamente spicca, è la levata di scudi del partito di Tajani, che tra l'altro ieri ha sarcasticamente voluto aggiungere che le frasi di Giogetti sono state «male interpretate».
Ma il day after dell'uscita di Giorgetti è segnato da una tempesta di comunicati di dirigenti azzurri, tutto dello stesso tenore, tanto che è difficile pensare che questi non abbiamo fatto seguito a un preciso ordine di scuderia «Sembra che le parole di Giorgetti», ha scritto in una nota la ministra per le Riforme istituzionali, Elisabetta Casellati, «siano state soltanto un momento di riflessione sulla responsabilità di chi va a tracciare un bilancio. Come sempre i bilanci sono difficili. Quindi non ci saranno nuove tasse perché la caratteristica di questo governo è quello che non ha messo le mani nelle tasche degli italiani».
Le ha fatto eco il portavoce del partito, Raffaele Nevi: «L'Italia», ha detto, «è il Paese in Europa con la maggiore tassazione su imprese e famiglie, aumentare le tasse sarebbe la strada per portarci verso un Paese sempre più soffocato da burocrazia e balzelli, dobbiamo fare esattamente il contrario, Forza Italia su questo è inflessibile». Detto questo, anche un esponente di spicco del Carroccio come il presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, non ha mancato di dire la sua: «Non credo ci sarà un aumento di pressione fiscale per le imprese. Ho avuto incontri con rappresentanti del governo e penso che il ministro Giorgetti si riferisse a possibili detrazioni o riduzioni di imposte di cui si è parlato molto e di cui, mi sembra aver interpretato, che oggi non ci possiamo permettere».