L’ accordo tra Popolari, Socialisti e Liberali sulle prossime nomine ai vertici dell’Ue ha dati il via a una sorta di effetto domino che coinvolge anche l’Italia. La quale è stata esclusa dagli accordi, visto che i Conservatori di Giorgia Meloni sono ritenuti troppo di destra soprattutto dal presidente francese Emmanuel Macron, ma visto che l’Ue dà e l’Ue toglie ciò implica che Roma otterrà un commissario di peso nella futura commissione, targata ancora Ursula von der Leyen.

Commissario che quasi certamente diventerà anche uno dei vice di von der Leyen e il cui nome sarà deciso direttamente nei colloqui privati tra Meloni e la presidente della commissione. Colloqui che non si sono mai fermati nemmeno nella fase più calda delle trattative e che sembra ormai certo porteranno alla nomina dell’attuale ministro per gli Affari europei, il Sud e il Pnrr, Raffaele Fitto, come prossimo commissario.

Una scelta dettata sia dal ruolo che l’esponente di Fd’I ricopre nel governo Meloni, che gli impone da quasi due anni costanti contatti con l’attuale commissione, sia dall’esperienza maturata da Fitto a Strasburgo e Bruxelles, con la doppia elezione al Parlamento europeo ottenuta nel 1999 prima e nel 2014 poi.

«Il prossimo vertice dei capi di Stato e di governo sarà un'occasione molto importante per discutere dei nuovi assetti istituzionali dell’Unione Europea e l'Italia intende esercitare in questa discussione un ruolo di primo piano, adeguato al suo status di Paese fondatore - ha detto Fitto che ieri ha partecipato in Lussemburgo ai lavori del Consiglio Affari Generali, l’ultimo della presidenza belga del Consiglio dell’Unione europea - Abbiamo discusso soprattutto della preparazione del prossimo Consiglio Europeo del 27 e 28 giugno, quello delle nomine non è l'unico tema rilevante dell’agenda del Consiglio Europeo».

Per poi aggiungere che per l’Italia «è molto importante che dal vertice esca un messaggio chiaro su temi per noi cruciali come la competitività dell'economia europea, la difesa, la migrazione e l'Agenda strategica oltre, ovviamente, ai temi di politica estera come l’Ucraina ed il Medio Oriente, sui quali si sono registrati molti progressi grazie al recente vertice del G7, presieduto dal presidente Giorgia Meloni».

Il nome di Fitto gira da settimane e a vedere di buon occhio un possibile accordo sul nome di Fitto ( volto moderato e benvisto in Ue, stimato, raccontano, persino da Emmanuel Macron che per l'esecutivo italiano non ha certo un gran debole) sarebbe la stessa Ursula Von der Leyen.

Ma la sua possibile nomina darebbe a sua volta il via a un possibile rimpasto di governo. Ipotesi che tuttavia Meloni vorrebbe evitare, sia perché convinta che muovere troppe pedine potrebbe portare a tensioni tra gli alleati di governo, sia perché sta pensando di tenere per se stessa il dossier Pnrr, o al massimo delegarlo a uno dei suoi due fedelissimi: Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari.

Privarsi di uno come Fitto, poi, per lei vorrebbe dire «togliere un pezzo da 90», perché è noto - ma anche evidente dalle deleghe che gli sono state assegnate, a partire dai 194,4 miliardi del Pnrr - che la presidente del Consiglio si fida di lui come di pochi altri. «Fiducia ben riposta, in questi 18 mesi ha lavorato per tre», ragiona un ministro in quota Fd’I. Eppure sembra che la premier sia decisa a non assegnare, nel caso, il superdicastero ad altri, ma a “ripartire” il pacchetto di deleghe che oggi Fitto gestisce in solitaria.

In primis, come detto, contando sul sostegno di Mantovano e Fazzolari, poi nominando magari un nuovo sottosegretario ad hoc - due i posti venuti meno nel sottogoverno, con le dimissioni di Vittorio Sgarbi e Augusta Montaruli - creandone uno agli Affari europei.