Trovare una sintesi possibile, per una legge possibile sul fine vita. Ciò che il Parlamento cerca da almeno 6 anni, ovvero da quando la Consulta gli ha chiesto di legiferare sul suicidio medicalmente assistito, è stato anche il cuore del dibattito tra politica, avvocatura e mondo cattolico che si è svolto oggi nella sala stampa della Camera in occasione dell’evento organizzato dal Dubbio.

Ad ispirare l’iniziativa è l’ultimo libro di Lorenzo d’Avack, membro e già presidente del Comitato nazionale di bioetica, che indica già nel titolo gli elementi in gioco: “Filiazione e fine vita. Riflessioni bioetiche e giuridiche” (Scholé, Editrice Morcelliana). Per ciò che riguarda il secondo tema, su cui oggi si è concentrata la discussione, gli strumenti del giurista sono quelli del diritto. Che però si intrecciano con i principi della morale nell’obiettivo di convergere su una risposta unica di fronte alla pluralità di posizioni e scelte che compongono la società: ciò che d’Avack riassume nell’espressione “politeismo etico”. Ma nell’incapacità di trovare valori in cui riconoscersi tutti, è preferibile affidarsi alla giurisprudenza? Oppure una legge si rende oggi indispensabile?

«L’avvocatura si sta interrogando con attenzione e responsabilità sul tema del fine vita», ha esordito il presidente del Consiglio nazionale forense, Francesco Greco, introducendo il dibattito. «Non si tratta soltanto di un problema etico, medico o psicologico: il fine vita è, a pieno titolo, anche una questione giuridica - ha aggiunto -. In questo contesto, il Cnf ha avviato con una società di ricerca un’indagine per comprendere il sentiment dell’avvocatura su questo tema delicato. I dati sono attualmente in fase di analisi e offriranno spunti preziosi per un contributo consapevole alla riflessione in corso. Attendiamo che il Parlamento affronti questa materia con la necessaria lucidità e con il rispetto dovuto a tutte le considerazioni politiche, religiose, morali ed economiche che la attraversano. Da parte nostra, riteniamo che l’avvocatura possa e debba offrire il proprio contributo, ponendosi come voce dei diritti e promuovendo una riflessione che metta al centro la dignità della persona e la tutela delle sue libertà fondamentali». Anche per Vittorio Minervini, vicepresidente della Fondazione dell’avvocatura italiana, «il legislatore oggi deve essere attento a porre al centro della sua riflessione il rapporto tra etica e diritto. Assumendo come punto centrale e fondamentale la dignità della persona». 

Sulla necessità di legiferare si è espresso anche l’autore del libro, il quale ha sottolineato il ritardo del Parlamento rispetto ai richiami della Corte Costituzionale, che con le sue sentenze ha inevitabilmente aperto dei vuoti normativi da colmare. Di fronte ai quali, ha ricordato d’Avack, «i conflitti che si sono verificati sono stati risolti attraverso le decisioni dei tribunali. Qualcuno potrebbe anche essere contento di tutto questo: secondo alcune correnti di pensiero, in determinati casi, la giurisprudenza può essere un vantaggio rispetto a delle regole emanate dal parlamento. Ma io ho qualche dubbio in merito - ha spiegato il giurista -, perché la mia vicenda professionale mi porta a ritenere che in tal modo non realizzeremo mai una certezza del diritto. Saremo sempre nelle mani dei tribunali e dei giudici, i quali svolgeranno magari perfettamente le loro funzioni, ma ponendosi in delle posizioni ideologiche che a volte la società può condividere, e altre a volte no».

Se una legge è dunque necessaria, ragionano i relatori dell’evento, bisogna costruirla a partire dai quattro requisiti sanciti dalla Consulta con la sentenza 242 del 2019 sul caso Dj Fabo/Cappato. Ma anche secondo una prospettiva umanistica, ha avvertito Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontifica accademia della vita, per il quale «parlare di inizio e fine vita, significa parlare di una dimensione che non può essere racchiusa in una legge». «Entriamo in un orizzonte nel quale è indispensabile legiferare - ha chiarito Paglia -, ma attenzione a non cadere in quella che io chiamo “l’adorazione della legge”. Il dibattito sul tema richiede una comprensione della vita e del suo senso a tutto campo, e nessuno su questo può avere la risposta assoluta. Come sostiene il Papa, nella società contemporanea esistono di fatto una pluralità di etiche, e questo richiede la corresponsabilità di tutti, quando si tratta di tradurle in legge. Perché la legge non esprime l’etica, ma allo stesso tempo produce cambiamenti culturali ed etici di cui bisogna tenere conto», ha concluso Paglia. Il quale ha espresso anche il timore che le cure palliative siano legate soltanto alle prospettive di fine vita.

Si tratta del nodo centrale previsto dal disegno di legge di cui è relatore il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin (insieme a Ignazio Zullo di FdI), che nel corso dell’evento si è confrontato con l’esponente dell’opposizione Michela Di Biase, deputata del Pd. La bozza in esame a Palazzo Madama aggiunge un quinto criterio: che il paziente che richiede di accedere a un percorso di fine vita sia già inserito in un programma di cure palliative.

«Un punto che pone altri problemi, soprattutto perché queste cure non sono disponibili su tutto il territorio nazionale», ha spiegato Zanettin. Per il quale bisogna chiarire che non si tratterebbe di trattamenti sanitari obbligatori: «Chi chiede la morte medicalmente assistita perché soffre dolori insopportabili, può essere considerato del tutto capace di intendere e volere? Le cure palliative che attenuano o eliminano il dolore a mio giudizio hanno il compito di mettere il malato che richiede il suicidio assistito in una condizione di più libera determinazione della propria volontà», ha spiegato l’esponente azzurro.

Della necessità che la politica proceda speditamente di fronte al dolore e alla sofferenza di tanti ha parlato invece Di Biase, la quale ha ricordato che nella scorsa legislatura era stato votato alla Camera il testo Bazoli, interrotto nel suo iter con la caduta del governo. «Il Parlamento deve assumersi la responsabilità di fare una legge, come ci chiede la Consulta, ovvero in modo sollecito e compiutoNoi naturalmente siamo disponibili a trovare un testo condiviso, perché questi sono argomenti in cui bisogna provare a lavorare insieme – ha concluso Di Biase - Però ricordiamo che il testo Bazoli era un’ottima sintesi, da cui si potrebbe ripartire».