Dopo la sentenza favorevole al processo Open Arms, Matteo Salvini torna a confrontarsi con lo scenario interno alla Lega. Che, a quanto pare, favorevole lo è meno. Ieri mattina, di certo, il segretario leghista deve aver avuto un piccolo sobbalzo leggendo l'intervista del suo compagno di partito, governatore del Friuli Venezia Giulia e presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, il quale ha contestato senza tanti complimenti due perni dell'attuale strategia politica del Capitano.

Il primo è il pressing sulla premier Giorgia Meloni per considerare l'ipotesi di farlo tornare al Viminale, al posto dell'attuale ministro dell'Interno Matteo Piantedosi: l'assoluzione completa dall'accusa di abuso d'ufficio e sequestro di persona a Palermo fornisce infatti a Salvini un viatico ideale per rivendicare la correttezza delle proprie linee di politica migratoria, e un ritorno sulla poltrona ministeriale sarebbe di certo un corollario molto efficace dal punto di vista del consenso.

L'intenzione palese del vicepremier è quella di incalzare Meloni sul contrasto all'immigrazione illegale dallo scranno del Viminale, ma le possibilità che l'inquilina di Palazzo Chigi possa dare il via libera ad un'operazione che rischia di danneggiarla seriamente dal punto di vista del consenso sono pari quasi a zero, come già fatto intendere dalla diretta interessata.

Ma che un endorsement per Piantedosi potesse arrivare da un autorevole esponente della Lega, forse Salvini non l'aveva messo in conto, cosa che invece Fedriga ha fatto e in modo chiarissimo. L'altro punto contestato da Fedriga a Salvini è quello relativo alla politica estera, e in particolare l'atteggiamento da tenere rispetto alla fornitura di armamenti a Kiev. Da qualche tempo, in special modo da quando Donald Trump ha vinto le elezioni in Usa, il segretario sta moltiplicando le dichiarazioni in cui esprime scetticismo per la proroga degli invii di armi all'Ucraina. E visto che al rientro dalla pausa natalizia il Parlamento è chiamato ad approvare il prossimo decreto di autorizzazione, ai piani alti di piazza Colonna c'è la ragionevole preoccupazione che Salvini possa assumere iniziative per marcare il proprio dissenso. Un passaggio delicato, che partirà dal Senato e che è ben presente nei pensieri del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale nel suo discorso di fine anno ha volato alto evocando un futuro di pace, ma non ha dimenticato gli obblighi internazionali e le cadenze parlamentari del nostro paese, quando ha fatto cenno al sostegno militare a Kiev. Anche in questo caso, Fedriga si è schierato senza esitazioni dalla parte del Quirinale e degli atlantisti, mettendo così in guardia il suo segretario da eventuali “sbandate”.

Al di là del merito delle questioni affrontate, le esternazioni del governatore friuliano non possono non essere messe in relazione alla fase che il partito di Alberto da Giussano sta attraversando: l'assoluzione di Salvini ha rappresentato certamente una vittoria politica, ma ha anche posto una pietra tombale sulla vicenda, sollevando i dirigenti leghisti dall'obbligo di sostenere il segretario fino in fondo (che vi sarebbe ovviamente stato in caso di condanna).

Per Fedriga e per gli altri big del Carroccio, dunque, è arrivato il momento di parlare di politica e della linea che il partito dovrà tenere nel medio- lungo termine, senza più sviare verso strategie di piccolo cabotaggio. L'alternativa, a questo punto, pare abbastanza chiara tra il proseguimento del progetto di Lega nazionale e sovranista, che però negli ultimi anni si è rivelato perdente dal punto di vista elettorale e ha fatto segnare un travaso di consensi verso Fratelli d'Italia, o il ritorno alla primazia delle tematiche legate ai cittadini settentrionali e alle istanze dei ceti produttivi. In questo senso, si sono già pronunciati il “doge” Luca Zaia, il suo collega lombardo Attilio Fontana e il neosegretario della Lega lombarda Massimiliano Romeo, che l'ha agevolmente spuntata nel congresso regionale, mandando all'aria il piano salviniano di un candidato unitario e a lui fedelissimo come il segretario dei giovani padani Luca Toccalini. Un episodio che lascia agevolmente intendere quanto spinoso potrà essere per Salvini il confronto nell'assise federale e quanto i veri grattacapi, per quest'ultimo, paradossalmente inizino con la vittoria nel tribunale palermitano.