Ieri pomeriggio, in sordina (ma ancora per poco, verosimilmente) è tornato un classico di metà legislatura: lo scontro sulla patrimoniale tra centrodestra e centrosinistra. O meglio, dell'ala più agguerrita del centrosinistra, poiché su questo tema i centristi e i moderati dell'opposizione hanno sempre manifestato il proprio scetticismo.

Di fronte al Nobel per l'economia Joseph Stiglitz, la segretaria del Pd Elly Schlein ha rilanciato la necessità di un intervento di questo tipo, prendendo come esempio il presidente brasiliano Lula: «Non è un tabù», ha detto, «un intervento sui grandi patrimoni, una tassazione sui super ricchi come ha proposto Lula. Ma va fatto almeno a livello europeo, perché con la volatilità del capitale è più efficace. Noi siamo aperti a discutere».

Accanto a lei c'erano sia il presidente del M5S Giuseppe Conte, sia il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni: più allineato a Schlein quest'ultimo, più prodigo di distinguo Conte, orientato maggiormente sulle tasse per i giganti del web, argomento su cui, in verità, spinge anche una parte del centrodestra.

«C’è stata tanta subalternità», ha aggiunto Schlein, «da parte della sinistra di fronte al modello della destra che diceva abbasso le tasse ai ricchi e arriva la crescita per tutti. È quello che hanno fatto negli ultimi 30-40 anni, hanno fallito ed è assurdo che lo ripropongano».

«In Italia c'è un sistema fiscale iniquo, concordo con la proposta di mettere l'equità orizzontale anche in Costituzione. È un principio sacrosanto: tanto guadagno tanto paghi», ha concluso, «non può dipendere dal tipo di lavoro che fai».

Facile intuire che nelle prossime ore gli esponenti parlamentari più in vista della maggioranza non si faranno sfuggire l'occasione per polemizzare con Schlein e soci, accusandoli di voler aumentare le tasse, rischiando di innescare un meccanismo di recessione economica.

Un film già visto, come detto, con un ingrediente nuovo, però, consistente nel fatto che la sostenitrice più convinta della patrimoniale è la segretaria dei dem, partito più rappresentativo dell'opposizione per distacco, e che in quanto tale in passato aveva sempre assunto posizioni più prudenti.

Molti ricorderanno i manifesti affissi una ventina di anni fa dall'ala radicale dell'Unione di Romano Prodi, in cui ci si augurava che piangessero anche i ricchi, che provocarono una reazione sdegnata del centrodestra e le critiche feroci da parte dello stesso Professore e dei Democratici di sinistra, ben lontani dal massimalismo di Rifondazione e dei Comunisti italiani.

Oggi a far tornare la parola “ricchi” nel lessico politico è la leader di un partito che al suo interno conserva ancora una componente riformista, che non a caso sta patendo negli ultimi tempi una certa compressione dei margini di manovra politica e manifesta sempre più inquietudine per la linea Schlein, tanto da aver messo in campo più di un'iniziativa politica (vedi Milano e Orvieto) con l'intento di favorire un'aggregazione capace di ancorare al centro l'opposizione.

Per il momento, però, l'impostazione schleiniana sembra avere poche possibilità di correzione e questo non può che far piacere in primis alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, alle prese con numerosi problemi, ma non certo con quello di un'opposizione capace di sfidarla sui temi sensibili all'elettorato come tasse e immigrazione.

Di fronte alle parole di Schlein che evoca Lula per la patrimoniale, è evidente che i grattacapi per la premier vengano piuttosto da Matteo Salvini e dalla guerriglia leghista per intestarsi provvedimenti come la pace fiscale, il condono edilizio o il “salvabollette” targato Giorgetti.

L'esperienza degli ultimi anni insegna che invocare la patrimoniale, anche se solo per i patrimoni più ingenti, fornisce l'assist per una facile propaganda anti-tasse tra i ranghi di maggioranza.

E, in quest'ottica, non stupisce che Meloni tenga a far passare il messaggio di riconoscere come interlocutore unico dell'opposizione proprio Schlein, come dimostrato dalle trattative per l'elezione bipartisan dei giudici mancanti della Consulta, condotta dalle due leader a colpi di sms e telefonate riservate.