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E meno male che avevano detto che il cambiamento cominciava con la limpidezza della trattativa. Avevano anche detto che delle poltrone se ne infischiano, e che contava solo il programma. «Il nostro leader è il programma », ha proclamato Di Maio qualche giorno fa. Mah.
Il programma lo hanno fatto in fretta: sommando, semplicemente, gli slogan elettorali della Lega a quelli dei 5 Stelle.
Può riassumersi in cinque frasi: ridimensionamento drastico dello stato di diritto, scasso delle casse dello stato, fine degli investimenti pubblici, dimezzamento delle tasse dei ricchi, mance abbondanti ai disoccupati.
Poi però, a quel punto, è iniziata la partita vera. E la partita non è sul programma ma è sul potere. Ora siamo appesi a una girandola di dichiarazioni, frasi altisonanti, passi avanti e smentite repentine. Sfido chiunque a trovare un altro leader politico che abbia mai chiesto l’impeachment del presidente della Repubblica la domenica, e il lunedì abbia smentito tutto e chiesto un colloquio col Quirinale. Nemmeno se andate a frugare nella biografia di Scilipoti o di Razzi trovate qualcosa del genere.
E così abbiamo dovuto anche assistere alla scena di una persona seria e preparata come il dottor Cottarelli chiamato a fare un governo con la partecipazione di un gran numero di personalità vere, e poi fermato all’ultimo momento per l’ennesima retromarcia della maggioranza.
Ecco, il punto è proprio questo: la maggioranza. Tutti dicono che la colpa di questo caos è di una legge elettorale farlocca che non permette la formazione di una maggioranza. Non è vero. E’ chiarissimo che non è vero. Dalle elezioni è uscita una maggioranza vincente: quella che raggruppa i partiti populisti, alla quale, ora, è pronta ad aggregarsi - pare - anche il piccolo partito di estrema destra di Giorgia Meloni. Dispone di circa il 60 per cento dei deputati. Se non avessero vinto i populisti avrebbe vinto qualcun altro: forse ci sarebbe stata una maggioranza di centrodestra Berlusconi- Lega- Meloni. O forse addirittura una maggioranza trasversale moderata ( stile Nazareno) Berlusconi - Pd. Non è vero che il problema è la legge elettorale.
Il problema è la maggioranza e la sua classe dirigente. L’impressione che ha chiunque segua in televisione queste giornate politiche è che i leader di questa maggioranza non riescano a fare altro che ripetere e ripetere e ripetere frasi fatte, inventate da loro o dai loro spin doctor, prive di qualunque retroterra politico e costruite solo per esaltare se stessi e tenere sempre aperta la campagna elettorale.
“Stiamo scrivendo la storia“. “Non vendo la mia dignità neanche per dieci ministeri”. “Meglio barbari che servi dei tedeschi”. “Oggi nasce la prima Repubblica”. “Io ho una parola sola”. “I mercati non valgono più di sessanta milioni di italiani”.
Potrei continuare a scrivere frasi così per dieci pagine. Nessun politologo, credo, potrebbe considerare queste frasi una cosa diversa da slogan. La politica non può essere fatta solo da slogan. Se la politica diventa questo, la democrazia scompare. Non è concepibile una politica che sia guidata da una classe dirigente che rifiuta il suo ruolo. Qual è il ruolo di chi vuol governare lo Stato? Essere statista: molto semplice.
Lo so, se provo a fare qualche paragone con il passato, a immaginare Moro, o Berlinguer, o Craxi, o Saragat ripetere quegli slogan senza contenuti, mi si accusa di nostalgia. E mi si dice che col nostalgismo non si riesce a capire la politica moderna. Può darsi che sia una osservazione giusta, perché effettivamente un po’ di nostalgia ce l’ho. Però non credo che il problema sia la distanza del passato dal presente ma sia la distanza dell’Italia dal resto dei paesi occidentali.
In Germania, in Francia, negli Stati Uniti, in Belgio, in Olanda, in Canada, in Giappone, alla guida della politica non ci sono persone che calcolano solo i voti elettorali che una certa azione può portare loro. Ci sono degli statisti, come per esempio la Merkel, o degli uomini politici comunque di livello. Persino negli Usa, dove ha vinto Trump sulla spinta di un populismo molto forte, tuttavia non si può dire che il Presidente sia semplicemente un propagandista e un cacciatore di voti. Ha delle idee politiche, anche se un po’ rozze, sa come fare per provare a realizzarle, si occupa di politica estera, di sanità, di lavoro, di immigrazione. Personalmente condivido poco o niente delle sue linee politiche, ma è indubbio che Trump è un uomo politico, come lo erano Clinton e Reagan e Bush.
E’ chiaro che da noi c’è un problema. Probabilmente dovuto anche all’imprevedibile svolgimento che ha avuto la battaglia politica. Si immaginava uno scontro tra destra e sinistra e invece destra e sinistra sono finite fuori gioco e c’è stata la valanga populista. I populisti non erano pronti a governare. Non prevedeva di dover assumere questo ruolo. Si preparavano ad altri cinque anni di opposizione e casomai a pensare al governo più avanti. Ora però non si può restare a recitare e immaginare la battaglia politica come un gioco di società. Chi ha vinto governi. Ridimensioni i suoi programmi inconciliabili con la realtà, e si prepari a guidare l’Italia da qualche parte. E l’opposizione si muova anche lei. Dia battaglia, chieda chiarezza, proponga programmi. L’Italia non può stare ad aspettare.