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Proprio in finale di partita nella commissione d’inchiesta sulle banche è spuntato il nome di Matteo Renzi e probabilmente non è un caso che a pronunciarlo sia stato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, che con l’ex premier ha un conto in sospeso dopo la mozione del Pd dettata da Renzi nel tentativo di impedire la sua riconferma alla guida di palazzo Koch. Renzi, racconta Visco, aveva chiesto informazioni su Etruria solo per sentirsi rispondere che il governatore parla di queste faccende riservate solo col ministro dell’Economia. Quindi ha confermato che l’allora ministra Boschi si informò a sua volta col numero due di palazzo Koch Panetta, e almeno in un’occasione dopo che le ispezioni su Banca Etruria erano cominciate. Visco, come tutti prima di lui, ha confermato che non c’è stata nessuna pressione da parte della Boschi o di Matteo Renzi. Il Pd, come fa da giorni, impugna la parola ' pressioni' e ripete che la ' deposizione' del governatore ha scagionato la sottosegretaria Boschi. Le opposizioni sostengono il contrario. E’ repertorio nell’uno come nell’altro caso. Se si trattasse di un vero processo, quella paroletta, ' pressioni', farebbe la differenza a favore del leader del Pd. Ma dal punto di vista politico e propagandistico Visco si è unito ieri al plotone d’esecuzione che ha trasformato la commissione in una via crucis per Maria Elena Boschi e di conseguenza per Renzi e l’intero Pd. Oggi starà all’ex ad Unicredit Federico Ghizzoni dare o meno il colpo di grazia. Se confermerà quanto affermato da Ferruccio De Bortoli, cioè che pur senza pressioni di sorta l’allora ministra delle Riforme si informò su un eventuale acquisto di Banca Etruria da parte di Unicredit per il pd, sul piano politico, sarà una rotta totale.
Sul quanto di tutto questo sia davvero rilevante è lecito avanzare dubbi in quantità industriale. Il problema è che il compito di questa commissione non era sin dall’inizio mettere in chiaro le insufficienze reali al fine di risolverle. Era, per quasi tutti, solo campagna elettorale. In sé un’inchiesta parlamentare sulle banche e sul funzionamento, anzi sul mancato funzionamento della vigilanza era più che giustificata. La convocazione a un passo dallo scioglimento delle camere, in compenso, è stata una scelta dissennata. Il solo ruolo della commissione, a urne già quasi aperte, poteva essere fornire armi letali per la campagna elettorale. Così è stato, così è e così sarà nei prossimi mesi.
Il Pd mirava a inchiodare le istituzioni di vigilanza, Bankitalia e Consob, per scrollarsi di dosso l’immagine negativa che a partire dalla vicenda delle prime quattro banche ( tra cui Banca Etruria) salvate ha costituito la vera pietra al collo del Pd renziano. A questo fine bisognava dimostrare che alle origini del disastro c’è stata una falla nella vigilanza, alla quale il governo Renzi ha posto riparo come possibile in quel momento. M5S e i gruppi di Liberi e Uguali perseguivano obiettivo opposto: rispolverare proprio il caso di quelle quattro banche, e in particolare il ruolo della Boschi, per affondare definitivamente le azioni del Nazareno.
Il centrodestra, per diversi motivi, ha scelto invece una posizione più defilata. Berlusconi non aveva interesse a bersagliare troppo un leader col quale progetta, se i risultati elettorali lo consentiranno, di stringere tra pochi mesi un’alleanza di governo e in più deve difendere l’immagine di vero capo del moderatismo italiano che si è pazientemente cucito addosso negli ultimi anni. Di fatto in commissione, come spesso nella traballante aula del Senato, Fi è stata più un sostegno che una minaccia per il Pd. La lega non aveva di queste preoccupazioni, però aveva tutto da perdere nel sollevare troppa polvere intorno alla vicenda delle banche venete. Quindi anche il ruggente Matteo Salvini ha optato per una per lui inusuale compostezza.
Per Renzi, più che per ogni altro, si è trattato di un azzardo estremo: una mossa politicamente quasi suicida. Tra tutti i partiti era quello che più rischiava riportando la questione delle banche sotto i riflettori. Dall’altro doveva mettere nel conto che, sia pure con tutta l’ipocrisia del caso, si sarebbe trovato contro non solo i partiti d’opposizione ma anche le istituzioni di vigilanza che prendeva di mira. In realtà quegli istituti sono usciti a pezzi dai lavori della commissione. Bankitalia e Consob, prima di capire che dovevano muoversi in sintonia, erano cadute nella trappola rinfacciandosi a vicenda la responsabilità della mancata vigilanza, con risultati devastanti. Ma inevitabilmente il caso Boschi è tornato in primo piano, ed è stato lo stesso Pd a riesumarlo quando la sottosegretaria ha deciso di chiedere a De Bortoli il risarcimento civile rendendo così inevitabile riaprire il capitolo.
Il bilancio, non ancora definitivo, è sconfortante. I guasti della vigilanza sono emersi, ma coperti e camuffati dal carrozzone propagandistico. Da questo punto di vista la cosiddetta ' inchiesta' non porterà miglioramenti nella situazione. Lo scontro tra forze politiche si è ulteriormente imbarbarito, sino a minacciare la residua stabilità del sistema. Il Pd di Renzi ha dato prova, se non di corruzione, certo di una clamorosa imperizia politica, costruendo un autogol potenzialmente esiziale.