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Aldo Moro nel discorso alle Camere nel marzo del 1977
C’era una volta, in un'Italia lontana lontana, tanto lontana da somigliare a una fiaba o a una leggenda, un primato della politica sulla magistratura tanto assoluto e incontrastato da autorizzare seri e fondati dubbi sull'effettiva divisione dei poteri sancita dalla Costituzione. La politica era di fatto intoccabile. Il potere togato si arrestava di fronte alla soglia del Palazzo.
Non è che di scandali non ce ne fossero. Ma le richieste di autorizzazione a procedere sbattevano regolarmente contro il voto contrario del Parlamento. Nella legislatura 1963- 68, ad esempio, su 75 richieste di autorizzazione a procedere ne furono accolte 5. Nella successiva, 1968- 72, le richieste furono 69 e le autorizzazioni 4. Il boom di richieste da parte della magistratura fu tuttavia nella legislatura successiva, 1972- 76, indice chiaro di un rapporto di subalternità della magistratura che i togati iniziavano a sopportare sempre meno. Le richieste furono ben 159, di cui solo 40 accolte.
Se si dovessero indicare un anno e una vicenda precisa per datare l'inizio, ancora molto in sordina, di un braccio di ferro che prosegue a tutt'oggi bisognerebbe risalire al 1965 e alla vicenda che coinvolse il senatore democristiano ed ex ministro delle Finanze Giuseppe Trabucchi. Era accusato di aver permesso a una società guidata da un altro notabile democristiano ed ex sottosegretario, Carmine De Martino, di acquistare illegalmente partite di tabacco messicano per poi rivenderle in patria con un guadagno netto di un miliardo e 200 milioni di lire dell'epoca, cifra di tutto rispetto e anche qualcosina in più. Il tutto, ovviamente, in cambio di generosa tangente. Trabucchi ammise ma si difese impugnando l'interesse di partito: «Era solo un finanziamento illecito per la Dc». La commissione, nel giugno 1965, respinse la richiesta.
Il mese dopo le camere riunite furono chiamate a votare per una decisione definitiva. Servivano 476 voti per accogliere la richiesta della Procura di Roma. Ne arrivarono 461. Trabucchi se la cavò alla grande. Prima che si ripetesse un braccio di ferro di dimensioni anche maggiori passarono quasi 10 anni. Nel febbraio 1974 i segretari amministrativi di tutti e quattro i partiti di governo, Dc, Psi, Psdi e Pri, furono indagati con l'accusa di aver incassato tangenti dall'Enel in cambio di scelte politiche contro le centrali nucleari. Lo scandalo fu enorme e coinvolse numerosi ex ministri. Il governo Rumor in carica si dimise.
Per rientrare in maggioranza il leader repubblicano Ugo La Malfa impose una legge che regolamentasse il finanziamento dei partiti. Varata a spron battuto, in soli 16 giorni e con l'approvazione di tutto il Parlamento, a eccezione del Pli, sulla base di una proposta firmata da uno dei principali leader Dc, Flaminio Piccoli. La legge non servì a fermare il finanziamento illecito ma derubricò i reati per i quali erano indagati segretari a amministrativi e tesorieri.
Restava lo spinoso caso degli ex ministri e i nomi in ballo erano davvero pesanti. La commissione parlamentare incaricata di vagliare i casi affrancò subito i dc Andreotti e Ferrari Aggradi perché i reati erano prescritti. Decise l'archiviazione per il dc Bosco e il Psdi Preti, ma ordinò di aprire un'inchiesta a carico di altri due ex ministri, Ferri del Psdi e Valsecchi, Dc. L'inchiesta si concluse cinque anni dopo con il “proscioglimento”.
Il grande scandalo degli anni ' 70 fu tuttavia il cosiddetto “affare Lochkeed”. Una tangentona di 61 milioni di vecchie lire, pagata secondo gli inquirenti dalla società americana per favorire l'acquisto da parte del governo italiano di 14 aerei Hercules 130. Erano coinvolti due ex ministri della Difesa, Luigi Gui, Dc, e Mario Tanassi, Psdi, e un ex premier, Mariano Rumor, Dc. Nel marzo 1977 il Parlamento votò, in seduta comune, la messa in stato d'accusa dei primi due mentre salvò Rumor.
In quell'occasione Aldo Moro pronunciò un discorso destinato a essere ricordato ancora oggi: «La Dc fa quadrato intorno ai propri uomini. Non ci lasceremo processare nelle piazze». In effetti il processo si svolse, secondo le regole di allora per i ministri, direttamente di fronte alla Corte costituzionale, con unico grado di giudizio. Nel 1979 Gui fu assolto, Tanassi condannato. Nel 1989 una riforma costituzionale modificò i criteri dei processi contro ministri ed ex ministri, affidandoli alla magistratura ordinaria e con procedura altrettanto ordinaria.
Mai accusato, mai processato, mai condannato, a pagare più di tutti fu il presidente della Repubblica Giovanni Leone. Indicato da una forsennata campagna giustizialista come coinvolto nello scandalo fu costretto alle dimissioni. La sua innocenza fu acclarata solo anni dopo.
Quando si rovesciano i rapporti di forza che almeno in apparenza restano identici per tutti gli anni '80? In apparenza il punto di rottura è Tangentopoli, quando le inchieste di mani pulite spazzarono letteralmente via un intero ceto politi- co e spianarono la prima Repubblica. In realtà i rapporti di forza avevano iniziato a subìre una modifica profonda già da prima. La magistratura si affranca dalla soggezione alla politica non con Tangentopoli ma con la lotta al terrorismo. All'epoca, tra la fine degli anni ' 70 e i primi anni ' 80, era abbastanza comunque sentir dibattere di '”delega alla magistratura” del contrasto al terrorismo.
Nella stessa fase la magistratura irruppe di fatto anche nella sfera di competenza del potere legislativo: alcune delle principali leggi anti- terrorismo, incluse quelle squisitamente politiche come la legge sulla dissociazione furono dettate norma per norma dalla magistratura.
Tangentopoli intervenne su equilibri già radicalmente alterati, chiuse il conto e siglò l'affermazione di un equilibrio opposto a quello che aveva segnato la prima Repubblica, con un primato assoluto del potere togato.
La seconda Repubblica è stata segnata dall'inizio alla fine dal confronto e a volte dal conflitto aperto tra un potere tanto più saldo perché legittimato dal sostegno dell'opinione pubblica, quello della magistratura, e un potere debole e sempre sotto scacco, infragilito dalla scarsa legittimazione popolare, quello della politica derubricata ormai a “casta”.