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La premier Giorgia Meloni
In una giornata qualunque, la torrentizia conferenza stampa della premier sarebbe apparsa soporifera e reticente, roba da far quasi rimpiangere le conferenze stampa di fine anno nelle quali Berlusconi si adoperava con successo per addormentare la platea di cronisti.
Ma ieri non era una giornata qualunque: era il giorno dopo la liberazione di Cecilia Sala e la premier andava comunque sul velluto. Tutto è bene quel che finisce bene e la vicenda Sala, per l’Italia e per gli italiani, è già finita bene quale che sia la sorte dell’iraniano Abedini.
Così la premier può permettersi di ringraziare tutti per il brillante lavoro compiuto nella crisi, anche se di brillante nella performance del ministro Tajani e della nostra intelligence sembra esserci stato ben poco. Complice anche la retromarcia ingranata dalla dimissionaria Elisabetta Belloni, può derubricare la sua dipartita dalla direzione del Dis a fattarello secondario, incidente minore e già risolto.
La presenza in squadra della ministra Santanché, che sarebbe uno sfregio anche per il miglior governo del mondo e non è questo il caso, viene liquidata in due parole: «Al che fare ci penseremo se arriva il rinvio a giudizio». Squadra che vince non si cambia e quindi a rimpastare, sostituire, revisionare, migliorare l’Esecutivo non ci si pensa neppure e ci dispiace per Salvini che sarebbe un ottimo ministro degli Interni, lo sarebbe stato anzi se solo la sua odissea giudiziaria si fosse conclusa per tempo, ma essendo altrettanto ottimo Piantedosi tutto resta com’è.
Solo che non c’è nessuna squadra che vince e pertanto guai a chi la tocca. La squadra, al contrario, è piena di brocchi, ministri e sottosegretari che aprono bocca e fanno danno, figure improbabili che ambiscono a riscrivere la Costituzione e producono testi che, al di là del giudizio politico sul presidenzialismo o sul premierato, appaiono a occhio nudo come pasticci irriformabili. Vincente è solo la premier che, senza esagerare in lodi e complimenti, è senza dubbio una leader politica capace, astuta e carismatica. Intorno ha un gruppo molto ristretto in grado di accompagnare al requisito essenziale della affidabilità anche quello della capacità: sua sorella Arianna nel partito, il sottosegretario Mantovano al governo, il ministro Giorgetti per tutto quel che riguarda l’economia, il commissario Fitto in Europa, un po’ più defilato il responsabile della Difesa Crosetto.
Questa situazione paradossale, che fa ricadere sulle spalle della premier la responsabilità di tenere a galla e pompare nei sondaggi l’intero governo, non è una disgrazia capitata a Meloni per sorte ria. È conseguenza diretta delle sue scelte e forse della sua intera impostazione politica. La premier Meloni non somiglia affatto a Giorgia la capopartito.
A differenza di Salvini, che aveva fatto del Viminale un palco da comizio e la stessa cosa prova a fare con molto minor successo anche ai Trasporti, la premier ha sorpreso tutti, soprattutto all’estero, per la drasticità con la quale ha letteralmente rovesciato il suo approccio, mettendo da parte, nella pratica di governo, tutta la retorica demagogica e populista dei tempi dell’opposizione. Proprio a questo, del resto, deve le indubbie fortune di cui gode a Bruxelles, a Washington (senza bisogno di aspettare Trump), in molte capitali europee.
Sarebbe però un errore pensare che la presidente abbia abbandonato o intenda abbandonare l’altra metà di se stessa, la Meloni capofazione, postmissina, decisa a realizzare il progetto del suo solo e unico vero ispiratore, Giorgio Almirante. Personalmente può giocare su più tavoli, alternando qualche comizio tanto per tenere viva la fiamma, molta diplomazia, una capacità di seduzione politica insospettata ma che ha saputo esercitare più volte: con Draghi, con Enrico Letta, con Ursula von der Leyen, con Biden e ora con Trump e Musk. Non può invece permettere che nella sostanziale area di potere emergano figure che allontanerebbero il partito, la coalizione e il governo da quell’obiettivo, rendendo completa e irreversibile la trasformazione della destra italiana in “semplice” partito conservatore.
Giorgia Meloni ha una visione politica precisa, a differenza di quasi tutti gli altri leader italiani, e questa è la sua forza. Ma tenere salda, pur se non ostentata, quella visione ha il suo prezzo. Giorgia è sola.