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Il voto delle Comunali è un terremoto che, almeno nell'immediato, non cambierà niente o quasi. Nel villaggio della politica non un solo edificio verrà abbattuto, e già questo è strano, non perché le fondamenta siano tanto solide da resistere al sommovimento tellurico ma, al contrario, perché sono tutte tanto deboli e fatiscenti, dunque elastiche, da poter resistere. Condizione peraltro poco invidiabile: palazzi tanto inconsistenti saranno infatti poi esposti a ogni colpo di vento. C'è un vincitore e tanti perdenti, ma lo stesso vincitore prima ancora di aver vuotato la bottiglia di champagne celebrativo deve preoccuparsi dei limiti sul suo pur nitido successo. Un'astensionismo troppo elevato e troppo socialmente collocato per non rappresentare una minaccia sempre incombente. Un progetto di coalizione che è uscito dalle urne ulteriormente ammaccato e già non scherzava.
Il solo palazzo che si profila come davvero solido, e anzi tanto più solido data la fragilità circostante, è palazzo Chigi. Sulla carta dovrebbe essere il contrario. Per la Lega la scommessa del governo Draghi è doppiamente fallimentare: salasso di voti da un lato, sconfitta secca nella competizione col Pd per accreditarsi come vera colonna del governo. In parte è colpa delle oscillazioni di Salvini, leader troppo tribunizio per cimentarsi in un esercizio di politica sofisticata come questo, ma le conclusioni non cambiano. Per la Lega la maggioranza si è rivelata e probabilmente resterà una trappola. Dalla quale però Salvini non può tirarsi fuori, avendo investito troppo sulla carta Draghi per sfilarsi senza trascinare al suo l'alleanza con Fi e probabilmente la stessa Lega. Mugugnerà, protesterà ma resterà nella maggioranza qualunque cosa succeda. La serie di piroette che hanno trasformato i 5S da forza antisistema in guardie d'onore del sistema li condanna a una progressiva irrilevanza. Ma anche loro, nonostante amino ben poco il governo e il premier, si sono spinti troppo avanti per tornare indietro. Il Pd è tentato dal battere subito il ferro caldo, correndo alle elezioni politiche in una congiuntura che oggi è favorevole e tra un anno e mezzo chissà. Ma per loro il sostegno al governo è condizione essenziale: possono sperare in un maremoto obblighi alle elezioni anticipate, non provocarlo.
Dunque Draghi, sul fronte politico anche se un po' meno su quello sociale, è più forte che mai, anzi è il solo attore forte in un palcoscenico affollato da malati più o meno gravi e in queste vesti gestirà la prossima fase della pandemia, con la speranza di allentare le maglie alla fine dell'anno, e soprattutto il passaggio delicato della legge di bilancio. Subito dopo, però, si aprirà un capitolo nuovo e al momento si tratta di un salto nel buio: elezione del prossimo Presidente, eventuale riforma elettorale, scelta sulla data delle elezioni politiche. Le tre questioni sono intrecciate in modo indistricabile, ciascuna rimanda alle altre e nessuno ha le idee chiare o un orizzonte verso cui muovere in mente.
Il Pd è tentato dal difendere questa legge elettorale e dal facilitare, pur senza poterla determinare la corsa alle urne. FdI non vede l'ora di votare per sancire la propria primazia nella coalizione. Per motivi uguali e opposti Lega e Fi mirano a rinviare la prova del fuoco ma sanno che l'elezione di Draghi metterebbe la sopravvivenza della legislatura a forte rischio. I 5S sono troppo travolti dal caos per sapere cosa faranno domani, figurarsi tra 4 mesi e oltre. Draghi deve decidere come muoversi e lo farà solo all'ultimo momento, sapendo di avere in tasca una carta che gli garantisce facoltà di scelta: la sua presenza in campo, in una postazione comunque tale da permettergli di garantire per l'Italia, è condizione necessaria per vincere la scommessa dell'uscita dalla crisi non degli ultimi 2 anni ma del precedente trentennio.
Tutte le strade sono aperte e lo resteranno fino al prossimo gennaio inoltrato. Tra tutte quella che grazie a queste elezioni è diventata almeno un po' più percorribile passa per l'elezione di Draghi alla presidenza della Repubblica senza però elezioni anticipate, con la permanenza in carica di questo governo o di uno identico, guidato da un tecnico di fiducia del nuovo capo dello Stato, come il ministro dell'Economia Daniele Franco. Sarebbe la quadratura del cerchio. Sarebbe anche l'alba di una nuova Repubblica, solo in superficie somigliante a quella di prima.