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Il Pnrr italiano è stato inviato giovedì a Bruxelles. Ecofin lo dovrebbe approvare, con il primo gruppo di Piani nazionali, il prossimo 18 giugno. Poi, nell'ultima settimana del mese, verrà approvato il secondo gruppo e il Piano diventerà operativo.
Si tratta in realtà di due Piani diversi, strettamente correlati e uno propedeutico all'altro, ma distinti e profondamente differenti sia nella tempistica che negli obiettivi. Gli investimenti, quelli dai quali dipenderà la sorte dell'economia italiana e dunque del Paese, si articoleranno nel corso di alcuni anni, anche se il grosso dovrà arrivare nei primi due. Non è inesatto affermare che costituiranno il programma di legislatura del prossimo governo che non potrà scostarsi da quanto verrà impostato nei prossimi mesi da questo. È del resto la strategia del “pilota automatico” già adoperata con successo da Draghi nelle vesti di presidente della Bce.
Prima dovrà essere portato a compimento il Piano riforme, senza il quale non sarà possibile realizzare con successo gli investimenti.
Qui dunque i tempi si conteranno in mesi e non in anni. A differenza della parte economica, inoltre, qui ne andrà del funzionamento dello Stato e la politica sarà toccata direttamente e non solo, come nel settore investimenti, in quanto rappresentanza di interessi. A varare queste riforme però dovranno essere questo governo e la sua maggioranza, che per definizione è una maggioranza non-politica, cioè che condivide qualcosa in termini di emergenza sanitaria, nulla o quasi se invece si passa al funzionamento dello Stato, alla politica propriamente detta. Il rebus di Draghi è tutto qui.
La prima riforma in agenda è quella delle “Semplificazioni”. Dovrà essere chiusa entro maggio. Il fondamentale capitolo sulla transizione ecologica è già stato approntato dal ministro Cingolani. Potrebbe entrare a far parte del decretone complessivo, e probabilmente sarà così, oppure essere votato prima e a parte. È forse la riforma meno spinosa ma non significa che non ci siano problemi, perché le semplificazioni riguardano anche i controlli e si sa che su quel fronte la posizione dei 5S e quella della Lega sono diametralmente opposte.
Stesso problema presenta l'intervento, strettamente correlato, sulle norme anticorruzione, in agenda per giugno. Il problema è semplice: buona parte degli intoppi burocratici e il calvario degli investimenti in Italia derivano proprio dalle norme anticorruzione, che però sono il cavallo di battaglia e anche il fiore all'occhiello del M5S. In compenso sono da sempre nel mirino di Lega e FdI.
La riforma della concorrenza, prevista per luglio, è irta di spine ma di diversa natura. Draghi ha intenzione, come solennemente annunciato in Parlamento, di colpire e affondare le tendenze monopolistiche che, a loro volta, sono esiziali per la qualità e la velocità dei lavori appaltati. Ma non c'è da sperare che quei gruppi oligopolisti facciano a meno di esercitare tutte le pressioni possibili per evitare di essere messi all'angolo, e buona parte di quelle pressioni passerà proprio per i partiti della maggioranza.
L'ultima riforma in programma è forse la più ardua, tanto da far sospettare a molti che alla fine non se ne farà niente: quella fiscale. Le leggi per il processo civile, quello penale e la giustizia tributaria dovrebbero essere tutte pronte per dicembre di quest'anno. I decreti attuativi si dovrebbero varare nell'arco del 2022. Tema più incandescente non c'è. La divaricazione tra le due anime della maggioranza è totale e in fondo proprio sulla giustizia, negli ultimi decenni, sono caduti governi a ripetizione e sulla giustizia è andato a sbattere il solo tentativo serio di riformare la Costituzione: la Bicamerale presieduta da D'Alema nella seconda metà degli anni ' 90. Come se lo scoglio non fosse già abbastanza insormontabile la riforma dovrebbe essere varata in pieno semestre bianco, quando i partiti sentiranno di avere le mani più libere non dovendo temere il voto a breve, ma con sul collo il fiato delle amministrative di ottobre poi delle probabili, pur se non certe, elezioni politiche in primavera, dopo la nomina del nuovo capo dello Stato. Uno scherzo insomma.
L'ultima tra le grandi riforme è quella della Pubblica amministrazione. Il problema lì sarà soprattutto la contrattazione con i sindacati, anche se il ministro Brunetta, persino più dinamico del solito, sembra almeno essere partito con il piede giusto.
Insomma: vanno fatte in pochi mesi riforme che stanno al palo da decenni e vanno fatte riforme politiche da una maggioranza che non è politica e le cui diverse anime non perdono occasione per azzannarsi. La posta è alta ma la scommessa di Draghi e da far tremare le vene ai polsi.