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“Economia di guerra”: la definizione era troppo d'effetto per non campeggiare ieri su ogni testata dopo le indiscrezioni sul cdm di giovedì e sul decreto che il governo varerà la settimana prossima o in quella successiva. E' una definizione esagerata, come ha segnalato ieri proprio Draghi, nella conferenza stampa di Versailles. E' un passo in quella direzione però e non si può non notare che Draghi, pur smentendo che si possa parlare di economia di guerra non essendoci razionamenti, ha ripetuto però più volte che, per ogni evenienza, “bisogna prepararsi”. Non sono parole che si possano pronunciare alla leggera. Conviene dunque distinguere tra il quadro attuale e quello possibile in un futuro vicinissimo. Lo stato delle cose, oggi, vede una ripresa europea ancora in corso e un'Italia che, dato l' acquisito” dell'anno scorso, cioè il risultato consolidato che Draghi definisce “a dir poco eccezionale”, non corre per il momento rischi sul debito. Però il rallentamento c'è ed è sensibile. In Italia i comparti a rischio sono essenzialmente tre: l'agroalimentare, penalizzato dai mancati approvvigionamenti di grano tenero, mais e fertilizzanti, alcune materie prime che pesano soprattutto sulla produzione di acciaio, carta e ceramica, e l'energia che è qualcosa in più di un comparto specifico perché impatta su tutti, colpisce direttamente attraverso l'aumento delle bollette le famiglie ed è il lato esposto che mette a rischio di chiusura molte imprese. La strategia che il governo ha in mente è articolata: diversificazione degli approvvigionamenti su tutti e tre i fronti, stringendo rapporti commerciali con altri Paesi ma anche con forte incentivazione delle rinnovabili in Italia. Il capitolo è tra i più complessi perché richiede un disboscamento drastico nelle foreste burocratiche che attualmente bisogna traversare per ottenere le autorizzazioni. Nuovi sostegni sulle bollette, che già prima della guerra avevano salassato 16 mld, e soprattutto risparmi energetici, con l'abbassamento dell'illuminazione pubblica a partire dai monumenti e del riscaldamento, e blocchi, forse con tanto di dazi, all'esportazione di prodotti fondamentali come il rame e lo stagno. Sono soprattutto queste due misure, peraltro ancora in discussione e non ancora decise, ad aver fatto parlare, un po' a proposito, di “economia di guerra”. Va da sé che queste misure costeranno molto e i singoli Stati, l'Italia anche meno degli altri, non potranno reggere senza un supporto europeo le cui forme però non sono ancora state ufficialmente ipotizzate . Lo stesso Draghi ha detto di non aver messo esplicitamente sul tavolo la proposta degli eurobond perché considera la fase prematura. Sarà la Commissione a preparare una sua proposta, sulla quale gli Stati poi tratteranno. Insomma, il quadro, dopo il varo di sanzioni molto pesanti anche per i sanzionatori, sembra delicato ma non disastroso. Certo si parla di rallentamento di una crescita che però arriva dopo la pesante battuta recessiva dovuta al Covid ma né le istituzioni politiche né quelle economiche europee sembrano essere entrate in un clima da allarme rosso. Il problema sono le possibili ipoteche sul prossimo futuro. Draghi ha significativamente più volte negli ultimi giorni che potrebbero essere necessarie nuove sanzioni e che l'Italia è pronta ad aderire. Ha anche aggiunto, citando un colloquio con Biden, che la sola alternativa alle sanzioni sarebbe la guerra. Ma dopo aver varato limitazioni quasi inimmaginabile, la formula “nuove sanzioni” può voler dire una cosa sola: embargo sul gas e sul petrolio russi. A quel punto, probabilmente, una vera “economia di guerra” con tanto di razionamenti energetici quasi certamente s'imporrebbe. Il secondo problema riguarda le scelte della Bce. La Banca ha rinviato il previsto aumento dei tassi per fronteggiare l'inflazione, ma si direbbe non di molto: settimane o mesi, non anni. In compenso ha confermato la fine degli acquisti derivati dal Quantitative Easing e dal programma Pepp varato per far fronte alla crisi Covid. La Bce si trova di fronte a un dilemma. Secondo le sue stesse previsioni lo stato dell'inflazione andrà da “avverso”, cioè pari al 5,9%, a “grave”, pari al 7%. Quindi deve scegliere tra politiche che rischiano di sostenere ulteriormente la crescita ma pagando il prezzo in termini di inflazione, e politiche mirate a contrastare l'inflazione ma negative per la crescita. Ha scelto la seconda ipotesi e il combinato tra i due rischi, condito con la fine dei vantaggi assicurati dall'arrivo della bella stagione, potrebbe rendere l'autunno/inverno a venire una specie di incubo.