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La rivolta dei sindaci contro il decreto sicurezza rinfocola il dissenso dei ribelli a Cinque Stelle, che già si erano opposti strenuamente alla stretta del Viminale alla Camera e al Senato. Le vecchie ferite tornano a sanguinare in mattinata, quando Matteo Mantero, uno dei senatori stellati di recente “assolto” dai probiviri dopo il no al decreto Salvini, ribadisce la propria ferma contrarietà al provvedimento. «Ecco quello che si ottiene emanando un decreto incostituzionale e stupido a solo scopo propagandistico, che auspicabilmente sarà smontato dalla Consulta: creare illegalità dove non c'era, ridurre l'integrazione peggiorando le condizioni di vita di italiani e stranieri, far fare bella figura ai sindaci del Pd che hanno contribuito a creare il falso problema dell'immigrazione e ora passano per i paladini dell'integrazione», è l’affondo di Mantero. Che riassume con parole affilate il pensiero di molti stellati per niente sorpresi dagli effetti collaterali provocati dal decreto sicurezza, denunciati a suo tempo da chi, come l’espulso Gregorio De Falco, aveva vanamente tentato di emendarlo al Senato. «La prossima volta - ammonisce Mantero proviamo ad ascoltare i nostri sindaci, come quelli di Roma e Torino ad esempio, che avevano esposto in maniera chiara e non strumentale come stanno facendo Orlando & C. le problematiche che avrebbe causato questo decreto». Il riferimento a due sindaci Cinque Stelle come Chiara Appendino e Virginia Raggi, non è affatto casuale.
«Rischiamo di trovarci con un gruppo di immigrati, ex richiedenti asilo, a spasso senza alcuna tutela e sostegno», tuona il primo cittadino grillino di Carrara, Francesco De Pasquale. «Il decreto sicurezza è tutt’altro che una buona legge — contrattacca il grillino Nogarin da Livorno —. Ci sono aspetti che non mi convincono da un punto di vista politico ed etico e altri che ritengo difficilmente applicabili». Due dichiarazioni che sono la cartina di tornasole di un disagio incontenibile verso l’alleato leghista, che mette in forte imbarazzo i vertici del Movimento. «Se c'è qualche membro della maggioranza a disagio – è l’avvertimento che lancia il vicepremier Di Maio da Alleghe – si deve ricordare che fa parte di una maggioranza che quel decreto lo ha votato, di un governo che lo sta applicando, che lo sosteniamo e che chi prende parte in questo momento a questa boutade prende parte a una boutade politica per far sentire un po' di sinistra chi con la sinistra non ha più nulla a che fare». Il rimprovero del leader 5 Stelle è chiaro: chi si ribella, fa il gioco delle opposizioni. Ma da quest’orecchio i dissidenti non ci sentono.
Tanto che più tardi, tocca a Paola Nugnes, senatrice il cui processo è pendente presso i probiviri del Movimento, rimettere le dita nella piaga. «Il decreto Salvini una ferita che si riapre? Direi piuttosto una ferita che non si è mai chiusa», è il colpo di sciabola della storica attivista del meetup napoletano vicina a Roberto Fico. Che ricorda ai vertici del Movimento, proprio come Mantero, di aver avvisato a suo tempo dei pericoli insiti nel decreto sicurezza. E replica a Di Maio che non si tratta di farsi strumentalizzare da qualche parte politica, perché «le posizioni delle amministrazioni contrarie al decreto sono tra l'altro alquanto trasversali». Il problema vero, continua Nugnes, è che i sindaci si trovano a dover fronteggiare conseguenze gravi, «non solo per i migranti che sono in attesa di un rinnovo di permesso umanitario o che avendone fatto domanda ora se le vedono negate, ma anche per gli stessi cittadini italiani, per i quali aumenterà la percezione di insicurezza, con l'aumento calcolato e certo di nuovi irregolari sul territorio nazionale. Gente che è già qui tra noi, ma che non potrà essere iscritta all'anagrafe, che non avrà documenti regolari, che non potrà iscriversi al sistema sanitario nazionale per curarsi, né accedere ad un lavoro regolare e quindi ad un regolare contratto di fitto, e che sarà costretta in alloggi di fortuna, novelli fantasmi costretti a vagare nel mare scuro dell'illegalità delle nostre città». Nonostante il tentativo di placare il dissenso interno di Luigi Di Maio, i senatori dissidenti non sembrano aver alcuna intenzione di abbassare la testa. Quello del decreto sicurezza è un problema «serio e reale e non basterà espellere tutti i senatori che hanno optato per una resistenza civile a questo obbrobrio per cancellarne le criticità», è la chiosa dell’altra senatrice ribelle Elena Fattori, anche lei in attesa del giudizio dei probiviri. La maggioranza potrebbe perdere altri pezzi al Senato, dopo la nuova ondata di dissensi? «La posizione di Nugnes e Fattori non cambia – fa sapere lo staff a Cinque Stelle – le loro dichiarazioni non rendono più o meno vicina la loro espulsione di quanto non lo fosse ieri. I procedimenti aperti nei loro confronti hanno a che fare con i loro voti in dissenso sul decreto sicurezza». E tuttavia lo spettro delle espulsioni torna a vagheggiare a Montecitorio, dove si era vociferato dell’imminente addio, poi smentito della parlamentare M5s Gloria Vizzini, una dei 18 deputati che inviò una mail al capogruppo alla Camera Francesco D'Uva lamentando il poco confronto proprio sul dl Sicurezza.
La verità è che la partita in corso è più ampia di quanto non indichi il dissenso interno. E punta ai vertici del governo, dove le aperture ai sindaci del premier Conte hanno molto irritato Matteo Salvini, determinato a proteggere il decreto sicurezza dai «sindaci traditori». Da qui al giudizio della Consulta, le vecchie ferite continueranno intanto a sanguinare.