PHOTO
Si riuniva per ratificare il sostegno al governo Gentiloni, è stata anche l’inizio della resa dei conti interna. La Direzione del Partito Democratico, la prima della cosiddetta “ convocazione permanente”, si è aperta con la richiesta di un mandato certo per i due gruppi parlamentari. « Votiamo sulla proposta del presidente Mattarella, che ha indicato Paolo Gentiloni come presidente del Consiglio » , ha spiegato il presidente Matteo Orfini: plebiscito, tutti favorevoli.
Il governo Gentiloni è stato l’unico punto di accordo tra le diverse anime del Partito Democratico, tra le quali non si è ancora rimarginata la frattura del voto referendario. Il clima, allora, è stato subito quello dei preparativi per la battaglia: pochi interventi, tesi e roventi, ma sufficienti a delineare lo scontro che si consumerà al congresso. E sul banco degli imputati finiscono anche i 1000 giorni di governo. A scoprire per primo le carte è l’ex capogruppo alla Camera Roberto Speranza, accolto da qualche sussulto e tiepidissimi applausi da una direzione a maggioranza renziana.
« TROPPA ARROGANZA »
«Dopo il referendum serviva uno spirito diverso: invece vedo ancora troppa arroganza. Pensare di ripartire da 40% è un errore, come dire agli italiani che hanno votato male» , ha detto l’esponente della minoranza dem. Da sostenitore del No, Speranza lancia la sfida precongressuale: «Ci dica Renzi se nel Pd c’è spazio per chi ha votato no». Sotto attacco finisce anche il governo: «L’Italia felix che fin qui qualcuno ha raccontato si è scontrata con la realtà, che è sempre più forte della comunicazione». Infine, l’unica via possibile: congresso, «che non può essere una resa dei conti del capo», nè un «votificio della domenica mattina», ma una ricostruzione del progetto politico « per recuperare il nostro elettorato sociale e di sinistra». A seguire Francesco Boccia, che si è spinto oltre: «Non ho apprezzato Renzi sul piano politico: questa discussione andava fatta prima » . E ancora, «Da oggi spero ci sia rispetto per chi non si fa omologare nel pensiero unico, in un partito che è stato troppo condizionato dall’azione del governo».
« NON MI NASCONDO »
Sfida tutti, Matteo Renzi: «Io non mi nascondo e davanti alle responsabilità non sono mai fuggito». Come dire alla minoranza: e voi? Il segretario interviene alla fine dell’assemblea, dettando la road map dei prossimi mesi: «L’esperienza di un governo si è chiusa, ora si apre il dibattito sul futuro. Il nostro disegno è stato bocciato dagli elettori e da qui ripartiamo. Io vorrei che lo si facesse con un congresso, rispettando lo Statuto». Su un punto, poi, è chiaro: il governo Gentiloni è un governo a termine, che serve a traghettare il paese alle urne, chiudendo così la legislatura. «Il Pd farà un congresso, sapendo che c’è un appuntamento imminente con le elezioni, chieste sia da noi che, soprattutto, dagli altri partiti». Degli attacchi della minoranza, Renzi boccia anche le premesse: «Riflettiamo sì, ma senza cedere a rappresentazioni macchiettistiche» , e poi contrattacca con un po’ di superbia: «Chi immagina di avere il copyright sulla sinistra non ha mai visto il 40% dei voti, nemmeno col binocolo. E non l’hanno mai visto neanche personaggi superiori a quelli che siedono oggi qui» .
GLI IRRIDUCIBILI
A sostegno del segretario intervengono gli alfieri renziani, ancora forti in direzione. Primo tra tutti Emanuele Fiano, che attacca frontalmente Speranza: «Facciamo il congresso, ma non ci sto a farmi dire che tutto ciò che ha fatto questo governo è sbagliata, anche perché le linee le hai approvate anche tu da capogruppo» . Lo stesso fa anche Gennaro Migliore, che ricorda come «per alcuni, questi sono stati giorni di dimissioni, per altri invece di festeggiamenti e questo non si può togliere dalla discussione» . Chiude Stefania Covello: «Chiedete un partito unito, ma non può esserlo a intermittenza e convenienza, a seconda dell’opportunità politica».
“ I PONTIERI”
«Io non ho paura del voto, ma del risultato» . A stemperare il clima interviene Gianni Cuperlo, che mette in guardia sul futuro e richiama gli insegnamenti del vecchio Pci: «La passione politica ha bisogno di senso di appartenenza, in cui le discussioni anche aspre culminano nella capacità dei dirigenti di farsi carico delle divergenze» . Con lui anche Matteo Orfini, che stigmatizza: «La capacità di dialogare con una parte del Paese è il problema della sinistra degli ultimi vent’anni e non si risolve cambiando il racconto». Il riferimento evidente è a Speranza, al quale indirettamente risponde: «Noi siamo urticanti per quella parte di Paese perché viviamo della nostra discussione interna. Non abbiamo perso il referendum per colpa delle divisioni, ma sicuramente hanno pesato» . E conclude Franco Marini: «Chiedo ai senatori che hanno votato la riforma: come fate a dire che è solo colpa di Renzi? Questo stride anche tra i nostri iscritti. Serve un congresso sulla linea, non solo sulla dirigenza» . A rimettere la palla al centro è Sandra Zampa: «Ripartiamo dalla legge elettorale, necessaria per andare al voto. Io ho appena firmato per una proposta di legge che riparta dal Mattarellum». Tregua armata, ora, in attesa del giuramento del governo Gentiloni e della nomina dei ministri. Poi, domenica 18 dicembre, la direzione Pd si riunirà di nuovo per decidere l’apertura della fase congressuale. A quel punto al centro tornerà un partito, o forse due: quello «che deve cambiare o morire» secondo Speranza contrapposto a quello di Renzi, che invece «è ancora la speranza dell’Italia».