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Negli ultimi anni ho condotto alcune ricerche sulle leggi razziali del 1938 contro gli ebrei, ma le sempre più frequenti, diffuse e inquietanti manifestazioni di antisemitismo che inquinano la società italiana mi hanno convinto che avrei piuttosto dovuto dedicare maggiore spazio al presente. Valga per tutte la situazione della senatrice Liliana Segre, quotidianamente destinataria di centinaia di messaggi ingiuriosi e di minacce per il solo fatto di essere ebrea, di essere miracolosamente sopravvissuta alla deportazione nel campo di sterminio di Auschwitz e di avere dedicato la sua vita alla testimonianza e alla memoria della shoah. Minacce talmente gravi e concrete da indurre il prefetto di Milano a disporre una scorta per proteggerne l’incolumità.
Le attuali manifestazioni di antisemitismo non sono in alcun modo assimilabili al razzismo dell’Italia fascista, per la ragione di fondo che allora si trattò di antisemitismo di stato programmato dall’alto e la svolta razzista fu accuratamente e spregiudicatamente preparata da Mussolini sin dai primi mesi del 1938 per sollecitare il consenso di una popolazione sostanzialmente immune dai veleni dell’antisemitismo. La fase preparatoria trovò sbocco nei provvedimenti legislativi e amministrativi che diedero vita tra il 1938 e il 1943 alla efficacissima e spietata persecuzione dei diritti, volta a precludere agli ebrei lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, a isolarli dai rapporti civili e sociali, ad esempio la cancellazione dagli ordini professionali e l’espulsione degli insegnanti e degli studenti dalle scuole pubbliche di qualsiasi ordine e grado.
A fronte di una politica razziale che praticamente sanciva la morte civile degli ebrei gli italiani non manifestarono alcuna riserva, semplicemente voltarono la testa dall’altra parte. Solo quando, a seguito dell’occupazione tedesca e della nascita della Repubblica sociale italiana, ebbe inizio la caccia agli ebrei e la deportazione nei campi di sterminio, passando alla persecuzione delle vite, molti italiani si adoperarono per proteggerli, nasconderli e salvarli dalla deportazione. Ma nell’Italia repubblicana il periodo precedente della persecuzione dei diritti – dal 1938 al 1943 – venne completamente rimosso dalla memoria collettiva: grazie al mito del “buon italiano”, degli “italiani brava gente”, tutto il male dell’infamia razzista venne proiettato sul periodo della Repubblica sociale italiana, sulla ferocia delle SS naziste, sulla deportazione e lo sterminio nei campi di concentramento.
Ebbene, le radici delle attuali manifestazioni di antisemitismo “dal basso” – soprattutto, ma non solo, attraverso i social – vanno ricercate anche nel velo di oblio e nella rimozione che ha coperto e cancellato sino a pochi anni orsono la vergogna delle italianissime leggi razziali del 1938, i conti con quelle leggi non sono mai stati fatti. Nel periodo repubblicano è mancata, a partire dalla scuola, una cultura e una educazione contro il razzismo, malgrado l’art. 3 della Costituzione affermi solennemente il principio di eguaglianza senza distinzione di razza. E così, in un periodo di particolare rabbia e frustrazione per la grave crisi politica, economica e sociale del nostro Paese, si sta riproducendo ancora una volta il meccanismo del capro espiatorio, di cui gli ebrei sono stati nel corso della storia il ricorrente simbolo su cui scaricare rabbia, frustrazioni e disagio sociale. Le nostre istituzioni – a partire dal Presidente della Repubblica – stanno reagendo con forza e determinazione per contrastare questi nefasti segnali, ma sarà soprattutto compito della scuola iniettare nei giovani una solida cultura contro il razzismo, così da isolare le generazioni che quella cultura non hanno avuto e che sono facile preda di chi fa leva sui veleni mai rimossi dell’antisemitismo e sulla paura del diverso e dell’immigrato per raccogliere consensi tra gli strati che più stanno soffrendo per la crisi della società italiana.