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Certo, non è stata l’ovazione riservata alla presenza e all’intervento di Maurizio Landini, il segretario generale della Cgil, ma è pur stato consistente e significativa la buona accoglienza riservata al presidente della Confindustria Vincenzo Boccia dai partecipanti alla conferenza programmatica del Pd a Bologna. Le cui cronache purtroppo sono state anch’esse in qualche modo sommerse da quelle su Venezia e sulle altre località flagellate dall’acqua, dalla neve e dal vento. Ha avuto un sapore per niente di forma quel “caro Nicola” rivolto amichevolmente dal rappresentante degli imprenditori italiani al segretario del partito Zingaretti. Che è deciso a scrivere per la sua formazione politica e, più in generale, per la sinistra “tutta un’altra storia”, secondo il titolo, lo slogan e quant’altro assegnato al quasi congresso - molto quasi- svoltosi nei giorni scorsi proprio in quella città e in quella regione che il centrodestra a trazione leghista si è proposto di conquistare a fine gennaio.
Quel “caro Nicola” dev’essere apparso incoraggiante a Zingaretti anche considerando la concorrenza che sul versante da cui proveniva opera con la solita baldanza nei riguardi del Pd Matteo Renzi con la formazione politica appena creata col nome di Italia Viva. E’ una concorrenza, direi, spietata con quel tentativo dell’ex presidente toscano del Consiglio di liquidare il suo ex partito come quello “delle tasse” e di spianarlo, dichiaratamente, alla maniera usata in Francia da Emmanuel Macron, scalando e conquistando l’Eliseo, ai danni del partito socialista. In cui, a dire la verità, nonostante gli auspici recentemente espressi anche da un ex militante comunista come Luciano Violante in una intervista a Carlo Fusi, e poi ribaditi in altri interventi, il Pd non vuole riconoscersi, pur essendo stato portato nella famiglia del socialismo europeo da un segretario - allora- di sostanziale provenienza democristiana: il sunnominato Renzi, diciamo così.
Questa è una delle tante anomalie della sinistra italiana o, se preferite, un residuo di quella lunga storia di divisioni, scissioni, traumi che non le hanno impedito di partecipare alla ricostruzione della democrazia dopo il fascismo e la guerra, ma di costituire davvero un’alternativa di governo sì. Glielo hanno impedito, eccome. E ciò anche a prescindere - bisogna avere il coraggio di riconoscerlo da quelle parti- dal lungo periodo della cosiddetta guerra fredda, quando neppure Stalin a Mosca si augurava i comunisti italiani al governo per non tradire la spartizione dell’Europa concordata a Yalta con gli altri vincitori del secondo conflitto mondiale.
Prima o dopo, comunque, il Pd i conti con questa storia dovrà pur decidersi a farla, spero in tempo perché Violante possa assistervi con i suoi 78 anni per fortuna molto ben portati.
Per tornare a quel “caro Nicola” di Vincenzo Boccia a Zingaretti, vedrete che prima o poi glielo rinfaccerà al segretario del Pd anche il capo ancòra dei grillini Luigi Di Maio. Che dice di non credere né alla destra né alla sinistra, sentendosi semplicemente “pragmatico” e “deideologizzato”, ma finisce sempre, ogni volta che può o le circostanze gliene danno l’occasione, di mettersi e schierarsi, volente o nolente, da una parte o dall’altra, mai davvero al di fuori e al di sopra.
Con tutto il contenzioso che ha col Pd anche dopo essere stato spinto di persona da Beppe Grillo a fare un governo insieme dopo la rottura estiva con i leghisti, Luigi Di Maio nella sua doppia veste di ministro degli Esteri e di capo della delegazione pentastellata nel secondo Gabinetto Conte ha voluto aprire un altro fronte contro Zingaretti. Di cui egli, dichiaratamente “sconcertato”, non ha gradito, in particolare, il tema della cittadinanza ai figli degli immigrati nati e acculturatisi in Italia: tema rilanciato con una certa forza dal segretario del Pd a Bologna.
Lo sconcerto di Di Maio è stato motivato con l’inattualità, diciamo così, atmosferica o meteorologica di questo problema, con mezza Italia e forse più alle prese con l’acqua. Liquidare così un tema come il cosiddetto ius soli o culturae, comprensivo dei diritti civili, è una cosa francamente agghiacciante. E’ peggio che schierarsi a destra, e ritrovarsi con quel Salvini di cui non a caso ogni tanto anche nel suo partito Di Maio viene accusato di avere una certa nostalgia.
E’ peggio - ripeto- che schierarsi a destra, alla faccia del pragmatismo e della deideologizzazione dei pentastellati, perché anche a destra il tema della cittadinanza ai figli degli immigrati che vanno a scuola con i nostri figli o nipoti non è da tutti liquidato come fanno Di Maio e Salvini. Ne sa qualcosa Silvio Berlusconi, che rischia di perdere proprio su questo terreno una parte di quel che gli resta di Forza Italia, specie ora che inzuppa il pane in quella minestra “l’altro Matteo”, il sunnominato Renzi, sempre lui.