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Mentre Luigi Di Maio comincia a strutturare la sua nuova creatura, Giuseppe Conte si prepara a un nuovo scontro con Beppe Grillo per tamponare l’emorragia di parlamentari. Sì, perché la scissione non è finita con l’addio di una sessantina di deputati e senatori, nei prossimi giorni in casa Movimento 5 Stelle si attendono nuove defezioni, a causa del “no” ostinato del fondatore alle deroghe sui mandati.
In cima alla lista grillina dei sospettati figura Riccardo Fraccaro, ex ministro per i Rapporti col Parlamento nel Conte uno e sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel Conte due. «Esce sicuro», dice una fonte pentastellata. E non sarà il solo. «Alla fine saranno almeno una settantina i parlamentari che seguiranno Di Maio», in un fuggi fuggi generale dettato dall’incertezza sul terzo mandato o dal nervosismo per essere finiti ai margini del potere M5S.
Il ministro degli Esteri, dal canto suo, non aspetta altro che accogliere nuovi transfughi. E intanto mette a punto gli “organismi” di Insieme per il Futuro: Iolanda Di Stasio è la nuova capogruppo alla Camera e c’è già un capogruppo anche al Senato, Primo Di Nicola, grazie all’accordo già chiuso con Bruno Tabacci per l’utilizzo del simbolo di Centro democratico (unico modo per poter costituire un Gruppo a Palazzo Madama).
Il coordinamento politico del nuovo soggetto sarà affidato invece all’ex ministro per le Politiche giovanili Vincenzo Spadafora, uno dei più accaniti detrattori dell’avvocato di Volturara Appula, impegnatissimo nell’attività di scouting per ingrossare le file dimaiane: il sottosegretario alla Sanità, Pierpaolo Sileri, «stamattina ci ha stra assicurato che è nel nostro progetto Ipf, lo confermo», si compiaceva ieri mattina Spadafora. Il partito di Di Maio ha anche eletto un coordinatore del “manifesto politico” (ancora tutto da scrivere): il deputato Giuseppe L’Abbate. L’importante è chiudere con «populismi e sovranismi, non è tollerabile l’odio», ribadisce il ministro degli Esteri, galvanizzando l’assemblea dei nuovi Gruppi parlamentari.
Ma se tra gli scissionisti si respira aria d’entusiasmo e compattezza per l’avventura appena cominciata, tra i contiani si fa ancora la conta dei sopravvissuti tra le macerie della separazione. E il bollettino è tutt’altro che roseo. Chi è rimasto, infatti, non è necessariamente legato all’altro da una comunanza di valori e vedute. In molti si interrogano ancora sul da farsi e aspettano segnali dall’alto per prendere una decisione definitiva. Le spaccature interne viaggiano sue livelli paralleli: uno politico e uno di natura strettamente personale. Appartengono al primo livello le differenti opinioni in merito al governo. Da un lato i tifosi dello strappo con Draghi (quasi tutti senatori), dall’altra gli alfieri della responsabilità (quasi tutti deputati). E non è una divisione da poco, per un gruppo parlamentare dimezzato da scissioni, espulsioni e fuoriuscite. Al momento la bilancia pende dalla parte dei responsabili, anche se tra i grillini non si esclude una possibile uscita dalla maggioranza a ottobre, utilizzando la legge di Bilancio per creare l’incidente.
Ma è il secondo livello, quello personale, a impensierire maggiormente Giuseppe Conte, che archiviata in un bagno di sangue la pratica Di Maio, si prepara a uno scontro, potenzialmente ancora più devastante, con Beppe Grillo. Perché se i due, presidente e garante, si sono ritrovati alleati di percorso nei giorni della scissione, a breve si troveranno su barricate opposte sul tema più delicato rimasto irrisolto: il limite dei due mandati. Il comico non vuole sentir parlare nemmeno di deroghe ed è pronto a tutto persino per impedire un voto sulla piattaforma grillina sul tema. L’avvocato, invece, non ha alternative, soprattutto per scongiurare nuove defezioni. Sono troppi i parlamentari a smaniare per conoscere il loro destino e scegliere se rimanere ancora nella casa madre o cercar fortuna in altri lidi ( non necessariamente Ipf).
È loro che Conte deve rassicurare. Se non tutti, almeno quelli più in vista, che magari riescono a tenere a bada le loro truppe, se ne esistono ancora. Sono almeno cinque le deroghe di cui il presidente M5S non potrà non farsi carico: Roberto Fico, Paola Taverna, Alfonso Bonafede, Federico D’Incà e Stefano Buffagni. È il minimo sindacale per impedire che tutti i “buoi” scappino. Per farcela Conte dovrà arrivare a una resa dei conti col fondatore che poche ore prima della scissione di Di Maio aveva scritto sul suo Blog: «Siamo tutti qui per andarcene, comunque, ma possiamo scegliere di lasciare una foresta rigenerata o pietrificata». L’avvertimento valeva per il ministro degli Esteri e vale per l’avvocato arrivato dal nulla alla guida del suo Movimento.