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Nessuna rivolta contro Di Maio, solo una normale richiesta di confronto interno. Gettano acqua sul fuoco i vertici pentastellati dopo la presentazione di un documento in assemblea, sottoscritto da 70 senatori, per chiedere un ridimensionamento del capo politico. Si tratta solo una «procedura interna» per modificare lo statuto del gruppo, sminuisce da New York Luigi Di Maio.
«È firmato da persone con cui lavoriamo ogni giorno. Credo che sia stato un grande malinteso», spiega il numero uno del Movimento 5 Stelle, che però non può nascondere sotto il tappeto i malumori di una fronda composita di eletti a Palazzo Madama. «Riguardo alle dichiarazioni di alcuni senatori dico che siamo in una forza politica in cui io ho ottenuto l’ 80 per cento dei consensi come capo politico, non il 100 per cento».
Insomma, normale dialettica interna, precisa il leader grillino. Per ribadire il concetto, in mattinata spunta un post sul Blog, firmato Movimento 5 Stelle Senato, in cui vengono smentite «le ricostruzioni fantasiose della stampa in merito ai 70 firmatari del documento». Anzi, il gruppo «è affiatato», garantiscono, e nessuno ha la benché minima intenzione di indebolire il capo.
Il susseguirsi ossessivo di smentite e precisazioni, però, serve solo ad alimentare i sospetti e le voci di possibili scissioni e fuoriuscite. Una diaspora in ordine sparso e mossa da motivazioni diverse, visto che tra i malpancisti figurano ex ministri delusi, nostalgici di Salvini e persino fichiani insofferenti allo strapotere di Luigi Di Maio. Almeno cinque senatori sarebbero pronti a lasciare il M5S per aderire al progetto Italia Viva di Matteo Renzi. «Con 5 senatori M5S i contatti sono in corso», confermano dal partito nato dalla scissione col Pd.
Un’altra, pattuglia invece, potrebbe bussare alle porte del vecchio alleato. O almeno così lascia intendere Matteo Salvini, che annuncia a Radio Radicale: «Mettetevi nei panni di chi ha fatto una battaglia nei Cinque stelle per anni contro quelli del Pd perché erano corrotti e poi ci si ritrova alleato», dice. «Questo crea molto disagio, disagio che sarà palesato con alcune sorprese nei prossimi giorni».
Se l’ex ministro dell’Interno non bluffasse, per il governo Conte sarebbe un colpo potenzialmente mortale. «I nostri parlamentari non sono in vendita, queste avances fanno pena», replica stizzito il ministro degli Esteri, che fa sapere di aver chiesto ai suoi «di registrare le conversazioni su eventuali avances, perché questi comportamenti sono deplorevoli». Poi aggiunge: «Mi spiace per la Lega, io l’ho conosciuta nei mesi di governo, ma si sono ridotti come un Berlusconi qualsiasi che cercava di comprare i vari De Gregorio».
Di Maio prova a parare i colpi, ma i fronti aperti cominciano a essere troppi. Soprattutto se dietro a una parte di “ribelli” si cela la mano di Alessandro Di Battista, ormai lontano anni luce dalla linea politica dell’ex amico. Per salvare il salvabile, qualcuno invoca un nuovo “direttorio” per ridimensionare l’uomo solo al comando.
L’esperienza in realtà non sarebbe una novità per il Movimento 5 Stelle, che in passato ha già sperimentato una formula fallimentare di coabitazione con Di Maio, Di Battista, Fico, Ruocco e Sibilia al vertice. Il capo politico pensa invece a «ristrutturare il Movimento con il Team del futuro e i Facilitatori regionali», che daranno al partito un’organizzazio-ne «che prima non ha mai avuto».
Prima però dovrà convincere tutti i senatori che l’alleanza col Pd, anche a livello regionale, è l’unica strada per sopravvivere al sovranismo. Per “sopravvivere” Di Maio dovrà scegliere con cura le persone a cui affidare i gruppi. Soprattutto quello di Palazzo Madama, dove l’eventuale nomina a presidente dell’ex ministro Danilo Toninelli potrebbe generare nuovi mal di pancia. La leadership di Di Maio non è mai stata così in bilico.