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Il primo round dunque si conclude con una fumata nera, ma ai piani alti pentastellati vogliono andarci coi piedi di piombo, consapevoli dell’enorme potere che lo Statuto del Movimento consegna nelle mani di Casaleggio jr. Per questo il reggente, intervistato dal Fatto quotidiano, rassicura Davide garantendo che ogni decisione congressuale passerà per Rousseau. «È naturale: è la nostra piattaforma, è lì che votiamo», dice Crimi, lanciando segnali di pace all’indirizzo della “fazione” rivale.
La scissione? Meglio congelare le polemiche e dimenticare i bombardamenti quotidiani di Alessandro Di Battista, per il momento. Luigi Di Maio lavora sottotraccia ed evita lo scontro frontale, consapevole di avere dalla sua parte quasi tutto il gruppo dirigente e buona parte della squadra parlamentare. Dibba, dal canto suo, punta tutte le sue fiches ( e quelle di Casaleggio) sull’ala irriducibile del Movimento che, in caso di accelerazione sul Mes, potrebbe decidere di uscire dal gruppo. In tutto, si vocifera, sarebbero una quarantina di deputati e una quindicina di senatori. Non proprio un manipolo ininfluente di ribelli, anzi, un piccolo esercito che potrebbe costringere il governo ad allargare il perimetro della maggioranza. Forse non a caso, proprio ieri Pd e M5S hanno approvato una risoluzione che impegna il governo «ad assumere ogni decisione sul ricorso alla linea di credito sanitaria del Mes solo a seguito di un preventivo ed apposito dibattito parlamentare e previa presentazione da parte del governo di un’analisi dei fabbisogni e di un piano dettagliato dell’utilizzo degli eventuali finanziamenti». Un modo, forse, per allungare i tempi e rinviare ogni decisione a dopo il congresso grillino, in programma il 7 e l’ 8 novembre.
Nel frattempo, meglio abbassare i toni, lasciandosi alle spalle settimana di passione segnata da scambi al vetriolo tra la coppia Dibba- Casaleggio e il gruppo dirigente pentastellato. Perché in ballo, a questo punto, non c’è “solo” la scissione ma una possibile implosione del Movimento, picconato dall’interno. Di Maio e compagni cercano un accordo onorevole coi belligeranti, che però non pregiudichi alcuni punti fermi: la collocazione del partito all’interno del centrosinistra e la fine del vincolo dei due mandati. Ed è su questo secondo punto che il confronto sembra impossibile.
Casaleggio non è affatto intenzionato a rinunciare alla regola aurea imposta dal padre, che nei fatti spianerebbe la strada al solo Di Battista, rimasto fermo per un turno, spazzando via l’intera classe dirigente M5S. Oltre a Di Maio, per fare un esempio, dovrebbero ritirarsi a vita privata i vari Roberto Fico, Alfonso Bonafede, Paola Taverna, Vito Crimi e più della metà dei parlamentari. Tutta la prima linea grillina sparirebbe, a vantaggio di nuovi volti capitanati dal leader più scapisgliato del Movimento. Una proposta “rottamazione” inaccettabile per i vertici pentastellata, che rende complicata la possibilità di convivenza con Casaleggio. La scissione resta sempre l’arma “fine di mondo” da attivare in casi estremi, ma a questo punto nessuno si tirerà più indietro. Le armi, anche legali, cominciano ad affilarsi. Ma intanto Di Maio va a Matera a festeggiare.