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Luigi Di Maio, ministro degli esteri italiano, è a Shanghai, all’EXPO, per tutelare, difendere, allargare il ‘ made in Italy’. Nelle stesse ore, il Presidente francese Emanuel Macron viaggia fra Shanghai e Pechino per siglare, ovviamente, importanti accordi, e, in particolare, per far avanzare i negoziati sull’accordo di ‘ Partnership per gli investimenti’ fra l’Unione Europea e la Repubblica Popolare, una intesa importantissima in queste tempi di guerre commerciale ed economiche di Donald Trump. E mentre il capo dello stato francese si apprestava ad iniziare la sua nuove, ennesima missione cinese, la Cancelliera tedesca Angela Merkel era appena ritornata da Delhi, dove con il primo ministro indiano ha parlato, fra l’altro, dei negoziati fra UE e India per un Trattato commerciale, anch’esso importantissimo in questi tempi di guerre economiche e commerciali di Trump.
Macron e Markel, l’asse ‘ neo- renano’ è in azione con perfetta divisione dei compiti per cercare di affrontare le sfide dell’economia dei nostri tempi. La nuova missione a Shanghai di Luigi Di Maio, la prima come ministro degli Esteri ( la precedente missione di Di Maio era nella sua qualità di ministro dello sviluppo e vicepresidente del consiglio), deve essere collocata in questo delicatissimo quadro, globale e di azione dell’Europa.
«Auspichiamo che il prima possibile ci possa essere un accordo fra Usa e Cina - ha detto il ministro italiano - perché una intesa serve ad abbassare le tensioni, l’Italia è un paese esportatore». L’Italia può ambire di più, potrebbe insomma aumentare le proprie esportazioni, «ma le tensioni commerciali fra Usa e Cina non aiutano i mercati internazionali e non aiutano le nostre imprese. Per noi è molto importante l’export perchè si produce in Italia, si crea in Italia e si vende nel mondo», ha concluso.
Dunque export, made in Italy, quota italiana del commercio globale: sono tutti temi chiave per l’economia italiana. Sono tutti argomenti che devono essere ben collocati all’interno del quadro europeo della diplomazia concertata ‘ neo- renana’ di Macron e Merkel. Di Maio è stato nei mesi scorsi il protagonista del ‘ memorandum’ fra Pechino e Roma per l’adesione italiana al progetto cinese della nuova Via della seta, la Belt and Road initiative, BRI in sigla. Il 2020, il prossimo anno, ha garantito il ministro degli esteri, sarà quello nel quale «tra Italia e Cina - dice Di Maio - raccoglieremo i frutti della BRI». E nel 2020, il Presidente Mattarella si recherà a Pechino per l’anniversario dei 50 anni di relazioni diplomatiche.
Proprio quel memorandum italo- cinese per la nuova Via della seta, firmato nel marzo di quest’anno, fra i due governi, è stato al centro di una forte contesa geopolitica. Gli Stati Uniti non hanno molto apprezzato quella firma italiana. Alcuni osservatori simpatetici con le posizioni anti- europee attaccarono il leader di Cinquestelle accusandolo di non aver sottoposto preventivamente l’intesa a Washington, vagheggiando attorno a progetti che l’Italia avrebbe potuto costruire con la Cina e gli Stati Uniti, di fatto contro l’asse renano che governa da sempre l’Europa unita. Quel memorandum è stato probabilmente il punto di partenza del pessimo “allineamento geopolitico” di Salvini ad agosto: dopo la firma italiana infatti l’allora ministro dell’interno andò in missione a Washington e fu probabilmente “richiamato” sulle questioni di politica internazionale, dall’Iran al Venezuela passando proprio per la Cina, Huawei e BRI. Le contraddizioni del leader leghista sui temi di politica internazionale probabilmente gli sono costate una patente di inaffidabilità geopolitica che ha avuto la sua parte nelle dinamiche della crisi di governo di agosto.
Quel memorandum italo- cinese in effetti aveva un difetto di fabbrica molto serio: con esso Roma cercava, legittimamente, di recuperare il terreno perduto nella relazione strategica bilaterale con Pechino che invece era stato ben coltivato da Germania e Francia. Il punto era che, per recuperare quel terremo, l’Italia avrebbe dovuto necessariamente avere il sostegno o la copertura politica almeno della Germania di Angela Merkel. Alla fin fine, l’avanzamento della parte italiana della rotta mediterranea della nuova Via della seta rientrerebbe pienamente negli interessi economico- strategici di Berlino: Trieste a Taranto sono porti che puntano direttamente verso il cuore tedesco dell’Europa. Ma il governo dell’epoca, gialloverde, era molto lontano da Berlino: quello era il difetto di fabbrica ( e non l’impossibile assenso americano) grave.
Ora il ministro degli esteri è nuovamente a Shanghai per promuovere il made in Italy: lo fa chiedendo la fine degli scontri commerciali fra Usa e Cina. Macron è tra Shanghai e Pechino proprio per verificare che le eventuali intese commerciali limitate sino- americane non siano a danno dell’Europa. Di Maio e Macron incroceranno i loro sguardi. Stavolta l’Italia sarà in sintonia con Berlino e Parigi?