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Alla fine, Claudio Descalzi resta al suo posto, alla guida dell’Eni, e a finire schiacciata è la linea intransigente di Alessandro Di Battista, che aveva spaccato il Movimento proprio sulle nomine. Perché a tenere banco, nel mondo pentastellato, è ancor quel documento condiviso su Facebook da Alessandro Di Battista per «bloccare la nomina a qualsiasi livello, di coloro che, sulla base delle nostre regole, non potrebbero neanche essere candidati al consiglio di circoscrizione». Un ritorno prepotente sulla scena dell’ex deputato che nel mirino aveva messo proprio Descalzi, «imputato per corruzione internazionale».
E l’appello per impedirne la riconferma è anche un un monito al gruppo dirigente grillino a cui i cittadini avevano «dato un mandato chiaro di discontinuità sia nel merito delle scelte che nel metodo». Sono tanti i parlamentari a sottoscriverlo, tra cui alcuni volti molto noti, a cominciare da Nicola Morra ( subito pentito), le ex ministre Giulia Grillo e Barbara Lezzi, Max Bugani e la vice presidente della Camera Maria Elena Spadoni.
«Penso che alcuni abbiano firmato il contenuto dell'appello senza rendersi pienamente conto delle altre intenzioni di Alessandro», spiega una parlamentare M5S, dietro garanzie di riservatezza, lasciando intendere i possibili secondi fini di Dibba. E nonsembra avere torto. Almeno a giudicare dal parziale ripensamento di alcuni firmatari. Come Giorgio Trizzino, medico e deputato pentastellato tra i più ascoltati al Quirinale. Prima ancora che la nomina di Descalzi venga confermata, l’onorevole “rettifica”: «Pur essendo assolutamente d'accordo sul contenuto della riflessione, penso che oggi non sottoscriverei nuovamente quel documento se si riproponesse l’occasione», ci spiega pacatamente. «Siamo stati tutti un pò impulsivi. La riflessione sul passato di Descalzi e sulla sua l'attuale condizione giudiziaria è un dato di fatto, credo però che le nomine siano e debbano rimanere di esclusiva pertinenza del governo, con tutte le responsabilità che ciò comporta», argomenta. Non è dunque «prerogativa dei parlamentari fare nomi, né, tantomeno, di chi sta fuori dal Parlamento. Ho assoluta fiducia nel presidente Conte, per cui nutro una stima infinita». Insomma, seppur condivisa nei contenuti, Trizzino si pente di aver contribuito a creare divisioni interne attraverso un metodo sbagliato. Ma aggiune: «Quello che il gruppo avrebbe voluto però era una condivisione delle metodologie che avrebbero portato i nostri ministri a individuare i nominativi». Già il metodo di selezione. Sono tanti i parlamentari a lamentare scarso o totale coinvolgimento del gruppo nei processi decisionali. Dibba questo lo sa bene e prova a inserirsi nelle contraddizioni interne al suo campo per trarne vantaggio. E qualcuno ammette di aver sottoscritto l’appello di Di Battista solo per ripicca, «per dare un segnale» . Le assemblee del Gruppo sono sempre più rare e in epoca di Covid la mancanza di confronto è diventata drammatica. E all’ultimo incontro in videoconferenza di tre giorni fa qualcuno ha posto la questione, lamentando la totale assenza di spazi di confronto e condivisione dei processi decisionali, nomine comprese. «Sa cosa ha avuto il coraggio di dire il capogruppo Davide Crippa?» riferisce una deputata sul piede di guerra, «che evitano di convocarci altrimenti le notizie escono all’esterno!».
È in questo clima di diffidenza e di conflitto tra bande che Alessandro Di Battista prova a giocarsi le sue carte, convinto del sostegno di una parte non indifferente del partito e della possibilità di alleanze di interesse tra anime parecchio distanti sulla carta. Perché se Morra fa sapere di aver firmato l’appello per errore di valutazione, altri lo rivendicano. Come l’ex ministra della Sanità Giulia Grillo, che parla apertamente di «problema di democrazia interna», o quella del Sud Barbara Lezzi, che si scaglia contro Vito Crimi, che «avrebbe dovuto convocare l’elezione del nuovo capo politico entro trenta giorni dall’inizio del suo incarico». Peccato che molti dei frimatari siano attenzionati ai probi viri per “eresia” o per mancati rimborsi. Come l’impegnatissimo senatore Michele Giarrusso, che al telefono dice di non avere il tempo per rispondere neanche a una sola domanda.