Si profila un nuovo duro scontro tra il governo e la magistratura di Siracusa sul caso del depuratore Ias del polo di raffinerie di Priolo Gargallo, in Sicilia. Pende ormai da anni la questione relativa all’impianto ritenuto non idoneo allo smaltimento dei reflui industriali - e quindi altamente inquinante - sequestrato la prima volta nel 2022 dai magistrati di Siracusa.

Oggi l’impianto è nuovamente al centro di un braccio di ferro tra organi istituzionali che il 21 luglio scorso ha portato il gip del Tribunale aretuseo a ritenere appropriate le accuse di inquinamento mosse dalla procura a carico della raffineria Isab, che un decreto del settembre del 2023 dai ministeri di Ambiente e Industria ha definito sito di interesse strategico nazionale. Il gip ha quindi disposto un nuovo sequestro dell’impianto, dando il via al nuovo atto di una vicenda che sembra infinita.

Se il provvedimento del gip venisse eseguito, si costringerebbe i colossi delle raffinerie a sospendere buona parte della loro attività con enormi danni al polo produttivo e alla sua immagine, ma con vantaggio per la riduzione dell’inquinamento su un territorio in cui abitano oltre 100mila persone. Contro la decisione del giudice siracusano il governo nazionale, col ministro allo Sviluppo economico, Adolfo Urso, ad agosto ha fatto appello al tribunale di Roma e alcuni giorni fa nella capitale si è tenuta la prima udienza per la trattazione del ricorso.

Alla seduta erano presenti quattro magistrati di Siracusa che hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale del decreto “Salva Ilva” che - secondo la procura – nel caso Ias violerebbe vari articoli della Carta costituzionale, in particolare l’articolo 25, che stabilisce il principio del giudice naturale precostituito per legge e che, quindi, almeno in via di principio, individua il giudice competente in quello del territorio interessato. La procura siciliana considera violato anche l’articolo 77, perché di fatto lo spostamento nella capitale della competenza a decidere sull’appello è stato deciso da un atto governativo.

Quindi prima che si discuta sulla legittimità del provvedimento del gip siciliano sul depuratore, i magistrati siracusani – spalleggiati anche da colleghi della procura di Roma - chiedono che si chiarisca un punto fondamentale della questione, e cioè se il Tribunale del riesame di Roma possa essere individuato come competente a decidere sull’Appello in merito al decreto “Salva Ilva” del gennaio del 2023. Insomma, si chiede alla Consulta di stabilire se è legittimo che i magistrati della capitale decidano su faccende di inquinamento insorte in altre parti del Paese. Ma ciò passa attraverso il giudizio del Tribunale di Roma, che deve trattenere la sua competenza oppure, appunto, chiedere alla Consulta di pronunciarsi sullo spostamento di competenza territoriale. A questo punto bisognerà attendere le decisioni dei giudici capitolini.

Intanto l’11 ottobre sono stati auditi l’Avvocatura dello Stato per conto del governo ed un’altra ditta ricorrente del petrolchimico. Il 17 sarà la volta della difesa di Sonatrach e Isab, due colossi della raffinazione. Infine si attenderanno le decisioni del Tribunale, soprattutto sull’accoglimento della posizione della procura siciliana, ma appare chiaro che con questa azione si rischia un altro duro confitto non soltanto tra magistratura e governo, come già avvenuto per l’Ilva di Taranto, ma anche tra stessi apparati della magistratura per il fatto che ogni trasferimento di giudizio da un luogo a un altro finisce per rendere sospetto proprio l’ufficio giudiziario di destinazione e in questo caso i giudici della Capitale, inevitabile sede di relazioni che si sviluppano dal governo centrale.

La piega che sta prendendo l’iter del ricorso non poteva non avere refluenze anche in Legambiente Sicilia. L’avvocato di Legambiente Siracusa, Paolo Tuttolomondo, ha commentato l’azione dei magistrati siciliani: «La richiesta della procura di Siracusa è condivisibile. Dal punto di vista giudiziario non entro nel merito. Aggiungo soltanto che quello che manca in questa delicata vicenda è il ruolo della politica, che ha gettato la palla avanti cercando di procrastinare “sine die” il funzionamento di un impianto che non è più sostenibile sul piano ambientale. Il tutto nel silenzio della Regione».

Lo stesso concetto è stato espresso dal segretario regionale della Cgil, Alfio Mannino, che ha definito il caso Ias «un fallimento della politica regionale e nazionale che ha demandato alla magistratura il compito di prendere decisioni su un settore importante per il tessuto produttivo della Sicilia». La dichiarazione di Mannino segue quanto già dichiarato dai sindacati di Siracusa, che hanno chiesto di non sospendere l’attività del Petrolchimico. Inoltre a rendere ancora più pesante l’aria ci sono anche le mezze frasi che provengono dai colossi della raffinazione che hanno definito l’azione dei magistrati una sorta di “ariete politico” contro il governo Meloni. Nel caso il Riesame di Roma dovesse trasmettere le carte alla Consulta e quest’ultima poi dovesse dichiarare incostituzionale il decreto, allora la competenza a pronunciarsi sul ricorso presentato dal governo tornerebbe al Tribunale del Riesame del distretto di Corte d’appello di appartenenza di Siracusa, in questo caso verosimilmente quello di Catania.

Quando due anni fa i magistrati della Procura aretusea disposero il sequestro dell’impianto, il governo nazionale era intervenuto col ministro Adolfo Urso col decreto salva Isab, successivamente era stato ricompreso nel decreto “Salva Ilva”, che ha stabilito che per gli impianti accessori bisognava bilanciare gli interessi ambientali con l’interesse strategico dello Stato per l’area industriale. In questo modo il governo aveva disposto il proseguimento dell’attività industriale, consentendo la continuazione dello smaltimento dei reflui industriali.

I magistrati, successivamente, però, avevano sollevato la prima questione di legittimità davanti alla Corte e i giudici costituzionali, allora, si erano pronunciati sul ricorso spiegando che le misure provvisorie adottate non potevano avere efficacia indefinita. Il problema riguarda sempre l’idoneità delle misure di risanamento predisposte dall’amministratore. Secondo la procura aretusea, l’impianto di Priolo continua ad emettere sostanze inquinanti fuori dai limiti. Da qui è scaturito il nuovo provvedimento del gip emesso a luglio e gli ultimi sviluppi processuali adesso approdati nella Capitale.