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«Sono sotto scorta da 9 anni: se solo c’è l’anticamera di un sospetto sull'amministrazione e sul consiglio comunale e sul sottoscritto io rinuncio alla scorta perché non posso essere considerato un sindaco antimafia e contemporaneamente il ministero dell’Interno manda la commissione di accesso al Comune per verificare se ci sono le condizioni dello scioglimento». Non le ha mandate a dire il sindaco di Bari, Antonio Decaro, dopo la notizia della nomina, da parte del ministero dell'Interno, di una commissione per la verifica dell'eventualità di sciogliere il Comune per mafia in seguito all'inchiesta "Codice interno".
Decaro ha parlato di «meccanismo a orologeria» attaccando anche il vicepresidente della commissione Antimafia Mauro D'Attis e il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, entrambi forzisti, rei a suo dire di aver chiesto a Piantedosi un'ispezione al fine di «truccare la partita», cioè le prossime elezioni Comunali di Bari, a giugno. «Non ho avuto paura dei boss, figuratevi se devo avere paura dei parlamentari - ha detto Decaro alludendo a D’Attis e Sisto - Bari è una città dove ci sono 14 clan mafiosi, è vero, ma è soprattutto una città che resiste alla criminalità organizzata».
Parole, quelle sui due esponenti di FI, che hanno mandato su tutte le furie il centrodestra. «Io capisco l’amarezza del sindaco di Bari, ma il nostro governo da quando si è insediato ha già sciolto 15 Comuni in prevalenza di centrodestra - la risposta del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi - Questo governo ha dichiarato guerra alle mafie, non certo agli amministratori locali».
Ma è tutta la vicenda a far discutere, in primis sui tempi, viste le imminenti elezioni per il nuovo sindaco, tanto che il primo cittadino dem, a caldo, ha parlato di «atto gravissimo che mina a sabotare il regolare corso della vita democratica della città». In secondo luogo per come si è svolta la vicenda, partita, secondo il sindaco, da una «richiesta di un gruppo di parlamentari di centrodestra pugliese, tra i quali due viceministri del Governo», allo scopo appunto di «truccare la partita» delle elezioni, «che il centrosinistra vince consecutivamente da vent’anni».
Quanto accaduto rischia anche di creare un cortocircuito tra governo, e in particolare il ministero della Giustizia, e la galassia dei sindaci dem, che finora si era dimostrata più che dialogante sui temi cari al ministro Carlo Nordio, almeno a parole. Dall’abolizione dell’abuso d’ufficio alla separazione delle carriere, fino alla legge Severino, i primi cittadini del Pd hanno spesso offerto una sponda alla maggioranza tale da mettere in difficoltà la stessa dirigenza del Nazareno, stretta tra le istanze riformiste dei suoi amministratori locali e la necessità di non discostarsi troppo dall’anima spesso giustizialista dell’alleato pentastellato.
E nel calderone finisce anche la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che le opposizioni chiamano a riferire in Aula sulla vicenda. «Di Piantedosi non ci fidiamo più», chiosano i dem.