PHOTO
IMAGOECONOMICA
Elly Schlein e Giorgia Meloni hanno lo stesso grosso problema o lo avranno presto. Sarà interessante e indicativo vedere come le due protagoniste assolute della politica italiana si misureranno con una questione delicata e spinosa, che richiede allo stesso tempo diplomazia e determinazione.
In Italia, dalla riforma costituzionale del 2001 in poi, ci sono stati numerosi presidenti di Regione tanto forti e radicati nei loro territori da potersi misurare da pari a pari con il governo centrale. Nei casi di Vincenzo De Luca, governatore della Campania con due mandati alle spalle, centrosinistra, e di Luca Zaia, presidente del Veneto, tre mandati già all'attivo, centrodestra, però non è esagerata la definizione di viceré. Hanno cioè forza, autonomia e consenso personale tali da poter ignorare anche le decisioni delle rispettive coalizioni e degli stessi partiti da cui provengono, il Pd e la Lega. Entrambi dovrebbero passare la mano l'anno prossimo a norma di legge e di decisione delle leader. Entrambi non hanno alcuna voglia di piegarsi. Soprattutto entrambi possono decretare la sconfitta della loro parte politica, rea di non averli ricandidati.
Il nodo veneto verrà al pettine solo tra alcuni mesi. Quello campano, almeno in parte, subito. Martedì mattina il consiglio regionale campano deve votare la ' leggina' di De Luca che recepisce la direttiva nazionale sul tetto dei due mandati. Serve all'esatto contrario di quel che sembrerebbe: De Luca affermerà infatti che il conto per raggiungere quel tetto parte dal momento del recepimento della norma.
Lui dunque avrebbe a disposizione addirittura altri due mandati. Il bello è che la Campania ha già recepito la disposizione. Il viceré si appiglia però alle modifiche recentemente introdotte per sostenere che è necessario un nuovo recepimento e dunque un nuovo azzeramento delle presidenze pregresse.
Elly si è attaccata al telefono, ha videochiamato i consiglieri regionali, ha chiesto loro di non appoggiare la leggina assicurando che De Luca non sarà comunque ricandidato. Quelli si sentono tra l'incudine e il martello. Alla scadenza del loro mandato saranno i commissari inviati dal Nazareno, trattati a insulti da De Luca, a decidere le candidature. Ma se dallo scontro uscisse vincitore De Luca, che al momento è decisamente il più forte in campo la loro sorte politica sarebbe segnata, mentre Elly non ha minacciato esplicitamente l'espulsione in caso di voto contro le sue direttive. Insomma, martedì la partita è tutta aperta, il dilemma dei consiglieri Pd resterà irrisolto sino all'ultimo ma soprattutto chi conosce il quadro della Campania è convinto che De Luca abbia già, sottobanco, i numeri necessari per farcela comunque.
La Campania è la regione non solo italiana dove la destra, all'arrembaggio ovunque, è più debole. Non dipende dagli umori comunardi dell'intera popolazione campana ma dal fatto che le aree di riferimento e i potentati che ovunque si rivolgono a destra qui stanno con De Luca. Avercelo in campo contro, come candidato ma probabilmente anche senza la candidatura, significa per il Pd correre il fortissimo rischio di perdere la principale regione del Sud. Non si può dire che sin qui la segretaria si sia mossa con la necessaria accortezza. In un caso simile sarebbe stato necessario trattare e cercare almeno un candidato condiviso mentre i giovani turchi arrivati alla guida del Pd sulla scia di Elly hanno impostato la trattativa come una crociata contro i cacicchi e la leader mira a candidare un 5S come Sergio Costa: peggio di un insulto per De Luca.
Potrebbe darlo una mano la rivale, impugnando come è nelle facoltà del governo la legge eventualmente approvata martedì. E' difficile che lo faccia, perché significherebbe salvare il Pd in Campania, anche se lei è alle prese con uno scoglio quasi identico. Zaia non intende mollare. Lui però la possibilità di aggirare le norma, già dribblata una volta, non sembra avercela. Solo che la sua popolarità nel Veneto è tale che probabilmente basterebbe una lista con il suo nome, anche senza di lui in prima persona, per decretare la sconfitta del centrodestra.
Anche in questo caso la via d'uscita è solo una trattativa, qui però ancora più difficile che in Campania perché un candidato accettato anche da Zaia sarebbe comunque un leghista e la premier, non senza alcune buone ragioni, è determinatissima ad assegnare invece la Regione a FdI. La si può capire, di cinque regioni del Nord, tre sono già governate dalla Lega e una da Fi, solo il partito di maggioranza relativa è a becco asciutto. Comprensibile ma il Veneto per la Lega è il Veneto, Zaia è Zaia e Giorgia rischia di ritrovarsi tra poco nello stesso vicolo cieco in cui di dibatte oggi la sua rivale numero uno.