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Grandi sorrisi tra Trum, presidente degli Stati Uniti d'America, e Giorgia Meloni, premier italiana
Un'altra giornata di passione dei mercati di tutto il mondo, a causa dei dazi targati Usa. Oggi le borse europee – così come era avvenuto per quelle asiatiche - hanno fatto segnare un tonfo già in apertura, e per tutta la giornata le cose hanno avuto un andamento estremamente volatile a seconda delle notizie che arrivavano da oltreoceano, dove a segnali di chiusura da parte di Trump si alternavano comunicazioni e allusioni di segno opposto.
Elon Musk ribadiva il proprio scetticismo (dopo quanto già affermato collegato col congresso della Lega sabato scorso), la Fed convocava una riunione d'emergenza, e soprattutto era circolata un'indiscrezione (poi smentita) di una moratoria di 90 giorni da parte dell'amministrazione americana. Si è passati dunque da segni negativi superiori al sei o al sette per cento (come nel caso di Francoforte) al dimezzamento delle perdite dopo le voci della moratoria, a cui è seguito un nuovo calo. Alla fine Milano ha chiuso con un severo -5,18 per cento, leggermente peggio di Parigi, Londra e Francoforte.
E' così proseguita la tendenza al profondo ribasso e a che si era delineata la settimana scorsa subito dopo l'annuncio, da parte della Casa Bianca, dell'introduzione dei dazi. In Europa e nel nostro paese, la giornata, in parallelo a quella delle borse, sul versante politico è trascorsa all'insegna della ricerca della migliore strategia per negoziare col presidente americano, e si sono svolte riunioni importanti a tutti i livelli.
Per quanto riguarda l'Ue, in Lussemburgo si è tenuto il Consiglio Affari Esteri in formato Commercio, dove il Commissario competente Maros Sefkovic ha fatto sapere di essere disposto a «prendere in considerazione qualsiasi cosa perché preferiamo un risultato negoziato reciprocamente accettabile». «Ciò», ha aggiunto, «vale ora, ma anche per il futuro, perché credo che prima o poi, ci metteremo al tavolo delle trattative. Spero che saremo in grado di arrivare a un compromesso reciprocamente accettabile, che ripristini la nostra stretta relazione commerciale, e dove potremo valutare i modi per abbassare o eliminare le tariffe, come abbiamo suggerito sulle auto e sui beni industriali a febbraio e concentrare i nostri sforzi su come creare questo mercato transatlantico per i beni industriali, per le tecnologie del futuro e per la buona cooperazione tra i due alleati transatlantici».
La prima risposta europea, comunque, si avrà il 15 aprile, quando saranno attivi i controdazi su una ventina di prodotti americani individuati da Bruxelles, tra i quali non ci sarà il whisky, come chiesto da Roma, per evitare “rappresaglie” sul vino. E' innegabile, però, che molte delle speranze di ammorbidire la posizione degli Usa sono legate alla missione che con ogni probabilità la nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni terrà a Washington il prossimo 16 aprile. Una missione a dir poco delicata, nella quale, come è spesso accaduto negli ultimi tempi, la premier dovrà trovare un sentiero praticabile tra gli obblighi comunitari e gli interessi nazionali. Sbilanciarsi dall'uno o dall'altro lato potrebbe avere delle controindicazioni negative, soprattutto se alla fine l'Europa non dovesse ritenere l'inquilina di Palazzo Chigi affidabile.
E proprio in vista di questo appuntamento, nella sede del governo si è tenuta la seconda riunione della task force dell'esecutivo sui dazi, alla quale hanno preso parte, oltre naturalmente alla premier, i vicepresidenti del Consiglio, Antonio Tajani e Matteo Salvini, il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, il ministro degli Affari Ue, Tommaso Foti, e il ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Dopomani, sempre a Palazzo Chigi, si terrà un'altra delicata riunione: quella tra il governo e la rappresentanza degli imprenditori maggiormente colpiti dai dazi.