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Nel giorno in cui su tutti i giornali campeggia il rischio che gli scissionisti ex Pd di Articolo 1- Mdp facciano cadere il governo sulla legge di Stabilità, al solito, lui, Massimo D’Alema, secondo un ormai stereotipato cliché, viene descritto come “l’uomo nero” della sinistra italiana. Accusa che gli piomba addosso da oltre vent’anni, una volta perché considerato troppo di “destra” e stavolta perché giudicato troppo di “sinistra”. Insomma, come colui che, animato da “rancore” per Matteo Renzi, ora vorrebbe mettere a ferro e fuoco il governo Gentiloni, stressarlo, costringerlo al cosiddetto “inciucio” con Silvio Berlusconi per poi farci una campagna elettorale sopra.
Ma “l’uomo nero della sinistra italiana”, descritto come la vera mente di Mdp, lo statista che da primo e finora unico ex comunista arrivò sulla tolda di comando del governo del Paese, l’ex premier che con nervi saldi e angoscia nel cuore dissimulata da quella concezione di se stesso «un po’ spavalda», come una volta disse di sé, dovette prendere la drammatica decisione sulla guerra in Kosovo, mentre altri come Romano Prodi si sfilavano, l’ex comunista che con realismo togliattiano sfidò il suo popolo e il suo partito, allora i Ds, perché le regole del gioco non potevano non essere scritte insieme all’avversario Silvio Berlusconi.
D’Alema non ci sta a prendersi ancora una volta le solite accuse. Le controbatte con linearità una a una con i suoi, poche ore dopo la decisione di Mdp, annunciata da Roberto Speranza, di essere di fatto ormai fuori dalla maggioranza. Ragiona e spiega ai suoi compagni così quello che intende fare da “grande”, ovvero in questo finale di legislatura, la cui sorte ora è anche un po’ nelle sue mani. Cosa che riafferma così di fatto una centralità di D’Alema, a dispetto dei propositi rottamatori di Renzi.
La premessa di ogni ragionamento pubblico e privato dell’ex premier e ex leader del Pds, è che lui era e resta un uomo orgogliosamente di sinistra: «Io sono solo uno che intende dare una mano, perché si vada a una vera formazione di sinistra, che ridia cittadinanza e rappresentanza ai suoi valori, molto sentiti tra la nostra gente, ma che il Pd ha ormai cancellato dalla sua linea politica, e questo non perché lì non ci sia ancora gente che a quei valori crede. Quanto a me, io sono già grande, ho da progettare ancora alcuni anni di attività, anche se con la Fornero sembra che venga prolungato il periodo prima della pensione, diciamo. Io sono sereno, in pace con me stesso, sto bene, non ho problemi».
E a chi pende dalle sue labbra, anche nel Paese, nelle tante feste di popolo di Mdp dove D’Alema è sempre D’Alema, per capire dove si va a parare, come intende fare la campagna elettorale, se magari all’insegna della lotta contro il cosiddetto “inciucio” ( termine peraltro coniato ironicamente da lui stesso ai tempi della Bicamerale) tra Pd e Forza Italia, risponde: «Non è questo il punto. Io faccio una semplice constatazione politica: registro che ogni volta che il governo si è trovato in difficoltà, Forza Italia ha fatto in modo che l’esecutivo non dovesse soffrire. Questo è un fatto, non un’opinione». Poi, più caustico sulla legge elettorale in discussione, il cosiddetto Rosatellum bis, ha fatto una gustosa ma realistica battuta delle sue: «Questa è una legge che favorisce solo il centrodestra, il Pd ha fatto una scelta demenziale, che premia solo chi ha una coalizione e il Pd non la ha. Renzi sta regalando alla Lega Nord ( più forte di Fi nei collegi al Nord e con Fi penalizzata al Sud perché lì la coalizione non c’è ndr) il governo del Paese pur di non dare a noi l’abolizione dei ticket! Capito? Meglio regalare a Salvini Palazzo Chigi che abolire i ticket come noi chiediamo…».
Ma D’Alema, anche da lucido analista politico qual è, vede pure rischi per Berlusconi e con i suoi la mette così: «Ad Arcore non sempre ci azzeccano. Berlusconi in questo ha fatto un calcolo sbagliato, perché così fa vincere la Lega e non Forza Italia, come invece ai suoi dirigenti nordisti, da Toti a Romani, sembra che vada bene». Quanto al futuro, a come Mdp intende agire se dopo le elezioni si dovesse andare per forza di cose a un governo di larghe intese, o a un governo del presidente, come ha prospettato nell’intervista ad Aldo Cazzullo per il Corriere della sera, D’Alema, nelle conversazioni private di queste concitate ore, la vede così: «Nessuno ora è in grado di sapere con certezza cosa accadrà. Inutile stare ad almanaccare adesso sulle formule…». Ma una cosa soprattutto in questi giorni l’ex premier, che viene dal “freddo” anche di quella concezione della politica che albergava nel vecchio Pci, tiene a ribadirla a chi gli sta più vicino: «Io sto bene, di salute e anche di spirito. Ma sento il dovere di dare chiarezze a quella gente della sinistra che ce le chiede. E sono tanti».
D’accordo, lui non coltiva ambizioni per sé bensì punta a ridare rappresentanza alla sinistra che, a suo avviso non è più rappresentata dal Pd, ma è evidente che D’Alema, simmetricamente a Berlusconi, è tornato centrale. E non intende abbandonare il campo. In queste ore l’attenzione è tutta puntata sui rapporti tra Giuliano Pisapia, il suo Campo Progressista e Mdp. La battuta suona dalemiana, ma non è l’ex premier che l’ha pronunciata. L’hanno fatta dentro Mdp l’altra sera: «Ma basta con questa storia che Massimo ora vorrebbe far fuori Pisapia! I fatti dicono che Pisapia ha detto l’altra sera a Napoli che vuole dare vita a una forza alternativa al Pd al punto da voler rappresentare candidati in tutti i collegi se dovesse passare il cosiddetto Rosatellum, poi sembra aver cambiato opinione nel giro di pochi giorni. Ma qui è Pisapia semmai che ha tradito se stesso, creando confusione e sconcerto, perché qui non si capisce più niente…». Verrebbe da chiosare con il classico dalemiano “diciamo”. D’Alema, intanto, nonostante la sua estromissione anche dalla guida della Feps ( la fondazione di studi del Partito socialista europeo), definito giorni fa dallo stesso Gianni Letta «bene prezioso di conoscenza e esperienze da non rottamare» continua, direbbe lui, a «volare alto e occuparsi delle sorti del mondo». Non esclude nelle prossime settimane da presidente della Fondazione Italianieuropei un viaggio anche in Israele, proprio lui considerato, sempre secondo gli stereotipati clichè mediatici, il leader più filo- palestinese che ci sia.