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Una persona che mi è cara, e che combatte la sua grave malattia affrontandone le spese con una pensione neppure sufficiente a sopravvivere, si è indignata leggendo le proteste generate dal caso di Franco Grillini, che ha svolto onorevolmente il suo compito di parlamentare e uomo politico in difesa dei più deboli, e che oggi, con la malattia che l’ha colpito, si trova esposto alla falcidia del suo vitalizio a iniziativa dell’attuale Presidenza della Camera, impegnata a concludere la battaglia del suo partito contro gli ex parlamentari, individuati come il “locus minoris resistentiae” contro cui è agevole infierire nella certezza di non pagare alcun dazio elettorale, anzi di guadagnare qualche consenso in più. Nonostante la vulgata secondo cui la crisi sarebbe finita, il PIL in crescita e i consumi in ripresa, resta il fatto che tantissimi italiani sono ancora costretti a sbarcare il lunario con pensioni da fame o con retribuzioni che oscillano tra il precario e il ridicolo, senza alcuna soddisfazione per l’oggi e alcuna certezza per il domani. E’ una situazione che è appartenuta a tutte le epoche e a tutte le latitudini, e magari oggi, stando alle statistiche, un po’ meno di prima, ma che viene resa tanto più insopportabile quanto più risulta amplificata dalle reciproche conoscenze sulle abissali disparità che differenziano i redditi degli esseri umani, alcuni dei quali (pochissimi) detengono una parte sempre maggiore della ricchezza mondiale, per non dire delle retribuzioni stellari di tanti dirigenti e manager pubblici che, in un modo o nell’altro, riescono a collocarsi ben al di sopra dell’indennità del Capo dello Stato. Per cui, quando emerge un caso come quello di Franco Grillini, trovo naturale che s’indignino i tanti che vivono reali e sofferte condizioni d’indigenza, anche per sopravvenute perdite del lavoro o, peggio, per gravi malattie o invalidità L’Ufficio di Presidenza della Camera ha pensato di potere fronteggiare queste particolari situazioni inserendo nella recente delibera che ha rideterminato i vitalizi un apposito paragrafo che prevede, a richiesta, la possibilità di un modesto supplemento in presenza di particolari situazioni di disagio personale. Si tratta di un approccio che s’iscrive nella visione di chi considera il vitalizio una sorta di sgradita (e, nel caso, caritatevole) elargizione, sganciandolo dalla funzione istituzionale in passato svolta, considerata come una sorta di pubblico impiego a tempo predeterminato, senza che ne venga riconosciuta l’assoluta specificità, e ignorando le innumerevoli sentenze della Corte Costituzionale che hanno sempre attribuito alla posizione del parlamentare (ma anche dei consiglieri regionali) un specialissimo rilievo per la vita democratica del Paese. Quando la questione viene messa sul piano personale, è inevitabile il confronto con le tante altre storie individuali di chi sta peggio. E tuttavia, messa la questione in questi termini, si perde di vista la vera natura della questione, che è, per un verso, di principio, e, per altro verso, istituzionale. La questione di principio, che riguarda tutti, attiene a una vera e propria lesione allo Stato di Diritto, in cui non è consentito a nessun governo o legislatore successivo di mettere in discussione i diritti legittimamente e lecitamente acquisiti in passato dai cittadini, che devono sempre avere la certezza dei rapporti giuridici che si sono consolidati sulla base delle norme pro-tempore vigenti. In via generale, la Corte Costituzionale ha più volte stabilito che “il mancato rispetto del principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico si risolve in irragionevolezza e comporta l’illegittimità della norma retroattiva” e ciò anche “quando la disposizione retroattiva sia dettata dalla necessità di contenere la spesa pubblica e di far fronte ad evenienze eccezionali” (così la sentenza 170 del 2013, ma anche le sentenze 73 del 2017, 78 del 2012, 209 del 2010, 24 del 2009, 74 del 2008, e innumerevoli altre). Proprio su tale base, la Corte Costituzionale (sentenze 116 del 2013 e 173 del 2016), intervenendo in materia di contributi di solidarietà su trattamenti pensionistici in atto, ha più volte stabilito che possono essere incisi a condizione che si tratti di interventi emergenziali (cioè dovuti a circostanze eccezionali), temporanei e non reiterabili, solidaristici (cioè interni al sistema previdenziale), sostenibili da chi deve subirle e comunque sempre ragionevoli e proporzionali. La questione istituzionale attiene invece alle speciali caratteristiche del mandato parlamentare che per modalità di accesso, svolgimento di funzioni essenziali per la vita dello Stato e connesse prerogative e garanzie a tutela della libertà di esercizio del mandato (art. 67 Cost.), si distingue nettamente da qualsiasi altro ufficio pubblico. Devo dire che la deriva in tale direzione è cominciata sul finire del 2011, quando, auspice il governo di allora, che provava così a addolcire le altre amare pillole della stagione dell’austerità, le Camere furono indotte a modificare i criteri e la stessa denominazione dei vitalizi, introducendo un calcolo contributivo simile a quelle della previdenza generale, facendo comunque salvi, col calcolo pro-rata, i diritti sin allora acquisiti. Nessuno dei commentatori di allora si rese conto che in quel momento si dava il primo colpo di piccone all’istituzione parlamentare, quale si era andata consolidando, anche nell’opinione pubblica, in più di mezzo secolo di vita democratica. Non se ne accorsero neppure quelli che all’epoca erano già fuori dal Parlamento, forse tranquillizzati dal fatto che il metodo pro-rata non incideva sui vitalizi acquisiti, sui quali però si è da allora ingenerata nell’opinione pubblica la convinzione che si trattasse di un privilegio, divenuto via via più insopportabile man mano che si allargava il messaggio mediatico su cui si andavano costruendo pubbliche notorietà. Da allora in poi, è stato tutto un susseguirsi di invettive, che hanno trovato legittimazione politica nel tentativo di qualche ingenuo legislatore di inseguire i populisti sul loro terreno, e legittimazione popolare nel risultato elettorale del 4 marzo. Da qui l’attuale quadro politico in cui, poco alla volta, si stanno mettendo in discussione tutti i paradigmi politici e costituzionali della democrazia liberale, con una serie di dichiarazioni, comportamenti e atti, univocamente finalizzati a quel fine, come accade quando: si afferma che "uno vale uno", che è cosa che si può dire solo dei neonati, e purtroppo neppure sempre, ma certo non per gli adulti, ognuno dei quali è divenuto inevitabilmente diverso dall'altro attraverso il suo percorso di vita; si fanno promesse mirabolanti che si sa di non potere mantenere, se non a rischio di sfasciare i delicati equilibri dei conti pubblici; si chiamano “portavoce” i parlamentari, che così cessano di avere una loro individuale autonomia; si propone di eliminare la libertà del mandato parlamentare (art. 67 Cost.), che è uno dei cardini su cui ruota ogni democrazia parlamentare che voglia meritare un tal nome; si propone di ridurre il numero dei parlamentari, in modo da ridurre la potenziale presenza di opposizioni minoritarie, che sono il sale della democrazia; si chiamano privilegi quelli che sono diritti che nel tempo sono stati legittimamente acquisiti e sono in godimento da anni; si chiama "contratto" un programma politico di governo, senza pensare che il contratto è “l’accordo tra due o più parti per costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale” (art. 1321 c. c.), quando invece il programma di governo riguarda esclusivamente i cittadini che ne sono i naturali destinatari; si attribuisce al Presidente del Consiglio il ruolo di mero esecutore di un programma scritto da altri, invece di riconoscergli il ruolo costituzionale di dirigere la politica generale, esserne responsabile, mantenerne l’unità d’indirizzo politico ed amministrativo, promuovere e coordinare l’attività dei ministri (art. 95 Cost.); si istituisce un ministero per la c. d. "Democrazia Diretta", con ciò manifestando l’obiettivo di delegare la rappresentanza e l’attività legislativa a un algoritmo incontrollato, gestito da terzi irresponsabili che così diverrebbero gli effettivi detentori dei pubblici poteri; si mette in discussione, in modo trasversale e sotterraneo, l’UE, che ha fatto conquistare all’Europa settanta anni di pace e prosperità, e si fanno piani per l’uscita dall’Euro, magari per decisione altrui, e con ciò stesso mettendo a rischio la finanza pubblica e i risparmi degli italiani; si enfatizza una presunta emergenza migratoria che non c’è più, polemizzando coi nostri alleati naturali dell’Europa occidentale (che hanno gli stessi nostri problemi e la stessa nostra concezione della democrazia) e invece solidarizzando con paesi che hanno interessi opposti ai nostri, alcuni dei quali teorizzano addirittura l’avvento di una “democrazia illiberale”; si prova a mettere le mani sul risparmio postale degli italiani utilizzando la Cassa Depositi e Prestiti per finanziare il pozzo senza fondo di Alitalia e poi magari passare all’acquisto dell’ILVA. Quel che sta accadendo sembra proprio il tentativo di utilizzare temi demagogici, di volta in volta sovranisti o peronisti, allo scopo di eliminare l'impianto costituzionale della democrazia parlamentare, per sostituirla con qualcosa d’altro che già si prefigura, e domani con qualcosa di peggio. E siccome ogni vicenda umana si sviluppa da sempre a partire dal lessico, che viene forzatamente introdotto nel linguaggio corrente, qualche reminiscenza latina mi porta a ricordare, con Cicerone, che "nomen, omen" (il nome è un presagio o un destino), e, con Giustiniano, che “nomina sunt consequentia rerum” (i nomi sono corrispondenti alle cose). Non dice nulla il fatto che il primo dei Dioscuri oggi in campo si faccia chiamare "capo", e il secondo "capitano"? Non viene in mente proprio nulla?