Dopo Silvio Berlusconi, dominus incontrastato della politica italiana per decenni, perno del sistema sia dagli spalti del governo che da quelli dell’opposizione, c’è lo spettro di Silvio Berlusconi, dimostrazione concreta di quanto poco il Paese abbia superato e consegnato al passato quella esperienza.

La polemica sulla scelta di ribattezzare l’aeroporto di Malpensa dedicandolo a sua emittenza non è solo, come pure sembra, materia per una commedia all’italiana con una marcata vena surreale. È molto di più. È la registrazione di una dato di fatto: la presenza, impermeabile persino alla dipartita, del Cavaliere nella politica e nell’inconscio collettivo dell’intera Italia.

Se c’è una riforma della giustizia la si intitola alla sua memoria, la si rivendica come frutto postumo della sua battaglia. Giorgia Meloni esiste solo in virtù della destra unita fondata tre decenni fa da quello che era allora l’ultimo arrivato nel teatro della politica. Ancora oggi il metro di paragone sul quale si giudicano le sue doti di capocoalizione è re Silvio. Sul logo del partito di cui era fondatore, presidente, stratega e ispiratore, padre e padrone c’è ancora il suo nome: vale da solo buona parte dei voti. Il successore officia puntualmente il rito dell’omaggio all’immenso leader: sia ben chiaro che non ambisce a raggiungere l’irraggiungibile “nano sulle spalle del gigante”, come usa dire.

Nella storia un caso del genere, certo in formato macro e con tonalità ben più tragiche, si è dato una sola volta e alla buonanima il paragone non farebbe alcun piacere però resta calzante. Nonostante il culto della personalità che lo circondava, Stalin si considerò sempre solo il discepolo di Lenin. Quando gli proposero di porsi allo stesso livello dello scomparso padre della rivoluzione la prese malissimo e si imbizzarrì, il che nel suo caso implicava sempre un margine di pericolo. Di Lenin ce n’è uno solo e noi seguiamo umili le sue orme. In piccolo e in molto meno sanguinoso, il caso del monarca di Arcore non è molto diverso.

Sarebbe un errore immaginare che la presenza incombente dell’ombra del Cavaliere disturbi o impermalisca l’erede. Al contrario nessuno più di lui sa quanto necessaria sia quella linea di continuità immaginaria con il fondatore. È probabile che appena pochi mesi fa le ambizioni di Tajani fossero limitate a quella che allora sembrava una missione impossibile: tenere in vita il partito azzurro dopo la scomparsa del suo creatore e impedire che venisse fagocitata dalle altre due forze di centrodestra.

Ma ora che quel traguardo è stato a sorpresa tagliato il leader di Fi e gran sacerdote del berlusconismo può sognare in grande. La sconfitta di Marine Le Pen in Francia dimostra che di una forza moderata con cui allearsi la destra ha e probabilmente avrà sempre bisogno. La durissima “smusata” che la premier ha dovuto subire nella Ue, tenuta fuori dalla porta dai grandi nonostante le molte prove di affidabilità elargite da quando è al governo, sono una lezione ancor più severa: se vuole evitare il ghetto degli underdog in Europa, la leader di FdI deve affidarsi ai buoni uffici del Ppe, del quale Fi è parte integrante. Già oggi Tajani è il solo vero alleato con il quale, nonostante la prevalenza schiacciante dei voti, Giorgia Meloni debba rapportarsi quasi da pari a pari.

Non è affatto detto che le nuove ambizioni del leader azzurro si fermino qui. Al contrario, è piuttosto evidente che coltiva un progetto di ben altra portata: riportare Fi nella posizione che ha ricoperto per decenni nella destra italiana: quella di forza centrale ed egemone. In apparenza appare un miraggio. La superiorità dei tricolori, quanto a consensi, appare irrecuperabile. Ma la politica moderna, come si è appena visto in Francia, corre molto veloce e in Italia più che su qualsiasi altra piazza. Le cose cambiano con una rapidità sconosciuta nel passato e il grosso degli elettori di FdI sono stati acquisiti di recente. Si tratta di un elettorato non fidelizzato ma ondivago, che può cambiare parere e voto repentinamente. La continuità ideale con il caro estinto è preziosa da questo punto di vista: l’elettorato della destra, e di FdI molto più che della Lega, è in sostanza un elettorato berlusconiano rimasto orfano del proprio storico punto di riferimento. Se dovesse convincersi che quell’eredità è stata ripresa con fedeltà e successo da altre mani tutto potrebbe succedere. Anche di vedere Fi tornare il gigante azzurro del passato.