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«Gli scarponi sono il simbolo del lavoro e della fatica, sono necessari per avere una conoscenza a 360 gradi del territorio o “campo” nel quale si vive e si opera; bisogna sporcarsi le mani e i piedi, come nel duro lavoro della terra, per capire che qui ad Amatrice, ora, servono poteri straordinari e provvedimenti veloci». Ecco spiegato, dalle parole stesse del Sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, candidato «sindaco del Lazio», il significato del titolo del libro appena uscito: “La scossa dello scarpone. Anatomia di una passione sociale” ( Armando Editore), in cui ripercorre le tappe della propria biografia politica e umana, segnata indelebilmente dalla cesura rappresentata da quel tragico 24 agosto 2016, quando si verificò la prima forte scossa della sequenza sismica che colpì Amatrice e molti altri comuni del Centro Italia.
Sindaco Pirozzi, lei scrive: «Gli scarponi ce li abbiamo nel nostro DNA di Italiani». Cosa intende?
Noi abbiamo una storia straordinaria: il nostro è un popolo abituato a lavorare, un popolo di grandi inventori e grandi eccellenze. Queste qualità appartengono al DNA della nostra nazione: bisogna ritirare fuori quel senso di orgoglio, di appartenenza, e tornare a credere nella Bellezza. La nostra è una penisola meravigliosa e fragile e per questo è necessario un piano serio di prevenzione e non solo un correre dietro alle emergenze. Bisogna ripartire da questo.
Ravvisa in Italia una certa indifferenza verso i piccoli comuni in favore di realtà urbane più grandi? In cosa consiste l’iniziativa Associazione dei Comuni Dimenticati?
Il mantra è che ormai chi non ha i numeri chiude. A un certo punto della mia esperienza amministrativa ho capito che non bastava più detenere la bandiera di Borgo più bello d’Italia se ci venivano levati i servizi essenziali. Da una difesa estrema della sanità periferica in tutta Italia nasce l’espe- rienza di questa Associazione Nazionale dei Comuni Dimenticati d’Italia, fra i quali – dal Piemonte alla Sardegna, dal Veneto alla Sicilia – riscontrai le stesse problematiche che interessavano Amatrice. Si tratta di Borghi che giungono alla ribalta televisiva nei momenti di disgrazia o che vengono pubblicizzati nelle riviste patinate di turismo: a questo ci ha condotti una politica miope che non ha mai considerato la ricchezza di questi territori. Ritengo che una significativa inversione di tendenza debba essere quella di investire in infrastrutture nelle aree considerate – a torto – marginali, e ciò si traduce in termini di banda ultralarga, viabilità, mantenimento dei servizi. In modo analogo sono dimenticate anche le periferie.
Lei ha affermato che il principio che dovrebbe legare le comunità non dovrebbe essere improntato esclusivamente alla difesa di interessi comuni ma anche alla solidarietà. Dopo quel tragico 24 Agosto, ha avvertito la solidarie- tà delle istituzioni da una parte e del mondo dell’associazionismo e della cultura dall’altra?
Le istituzioni, molto presenti durante la prima fase, lo sono oggi un po’ di meno perché immagino che nel frattempo le priorità siano diventate altre. Il sostegno del mondo dell’associazionismo e del volontariato è stato qualcosa di straordinario: dall’estremo Nord all’estremo Sud abbiamo assistito a una serie di incredibili gesti di altruismo che ci hanno dato la forza per andare avanti. Il nostro è il Paese dei paradossi: la presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, recandosi ad Ostia, ha rimarcato l’assenza dello Stato tralasciando il fatto che essa stessa per trent’anni ha rappresentato in prima persona lo Stato. Questa è la civiltà delle immagini e non della sostanza, quindi bisogna ripartire dai gesti reali di solidarietà che quotidianamente attraversano il nostro Paese.
Ci potrebbe parlare della situazione attuale di Amatrice? Di cosa ha bisogno ora la città?
Da noi la ricostruzione non è mai veramente partita, anche se si sono consegnate la quasi totalità delle case provvisorie. Di grande importanza sono i contributi degli italiani che arrivano oggi sul conto corrente del Comune. Mi auguro che si continui a dare la giusta priorità ai territori che hanno subito la distruzione del terremoto: ci riempiamo la bocca della parola ‘ ricostruzione’ ma se poi non vi si gettano i presupposti restano solo vuote enunciazioni.
Cosa l’ha spinta a candidarsi alla Presidenza della Regione Lazio?
Voglio impiegare l’autorevolezza derivatami dalla gestione dell’emergenza terremoto. Prima, quando parlavo, restavo la voce, spesso inascoltata, del presidente dell’Associazione dei Comuni Dimenticati, mentre oggi, quando dico certe cose, ciò influenza la progettualità di altri rappresentanti politici: l’attuale governatore, ad esempio, sostiene che, qualora dovesse vincere, promuoverà un Assessorato per i piccoli comuni, il premier Paolo Gentiloni parla di identità e della necessità di investire nelle aree dimenticate, altri partiti fanno convegni incentrati sulle periferie. Ricordiamoci però che il brevetto originale è il mio, le mie posizioni al riguardo sono espresse in questo libro, uscito prima delle esternazioni di altri esponenti politici. Oggi ho la possibilità concreta di migliorare la politica attraverso la mia esperienza e il fatto che le mie parole arrivino alla ribalta nazionale e che anche i grandi leader mi copino mi induce a sperare e a comprendere che i miei intendimenti sono giusti. Diffidate delle imitazioni.
Con quale partito correrà alle Regionali?
La nostra lista si chiama, appunto, «Lista Pirozzi» mentre lo slogan recita “Sindaco del Lazio”, perché è necessario che il Lazio, seconda regione d’Italia per PIL, si riappropri della propria identità storica ed economica. Chi vorrà sposare questo progetto ben venga, sono aperto a tutti. In questi ultimi giorni, dovunque vada leggo negli occhi delle persone la voglia di qualcosa di diverso. Ho avuto la fortuna di essere stato amministratore per passione per ventidue anni, fra Comune e Provincia, come presidente della Comunità Montana e presidente dei Comuni Dimenticati, interessandomi non di logiche di partito ma solo delle esigenze di quei territori. Sono uno dei più fieri fautori di questo tipo di politica, non certo di quella strillata nelle prime pagine dei giornali.