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Ancora un paio di settimane poi la giunta per le immunità del Senato dovrà fare una scelta che si ripercuoterà inevitabilmente sugli equilibri e sulla tenuta stessa del governo. Di autorizzazioni a procedere ne sono state chieste tante nel corso dei decenni repubblicani, e almeno sino al 1993, quando l'autorizzazione fu abolita sull'onda di tangentopoli, sono state in larghissima parte respinte. Ma è capitato tutto sommato raramente che quei voti, di solito accompagnati da titoli strillati e tensione da fare invidia a Hitchcock in aula, sortissero poi effetti davvero deflagranti. Sugli equilibri politici o sugli umori popolari.
Su quale sia stato il caso più rilevante nella storia della Repubblica nessuno può nutrire dubbi: fu il voto dell'aula della camera sull'autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi. Era il 29 aprile 1993. Stava per nascere il governo Ciampi, incaricato di portare il paese a nuove elezioni, le prime con una nuova legge elettorale maggioritaria, come deciso dagli elettori con il referendum del 18 aprile, ma ancora da scriversi.
Una parte sostanziosa del Psi, che non si riconosceva più nell'ex onnipotente Bettino e aveva per leader l'ex delfino Claudio Martelli ideò una strategia per evitare che nelle nuove elezioni i partiti della prima Repubblica fossero letteralmente cancellati e la propose al segretario del Pds, sino a due anni prima Pci, Achille Occhetto. Il progetto era ambizioso ma non impraticabile: nel governo sarebbero entrati, coperti da una mano sottile di vernice tecnica, ministri del Pd; l'esecutivo sarebbe rimasto in carica non pochi mesi ma un paio d'anni, per far decantare il clima di linciaggio contro i politici, varare con tutta calma una nuova legge elettorale e risolvere per via legislativa lo scandalo di tangentopoli. Il Pds fu d'accordo.
La Lega però fiutò la manovra. Quando l'aula fu chiamata a votare, a scrutinio segreto, sull'autorizzazione a procedere contro il leader che del sistema delle tangenti era diventato il simbolo, primo di una lunga serie di leader demonizzati dall'opinione pubblica, i deputati del Psi anticraxiano votarono a favore dell'autorizzazione ma i leghisti, al coperto del voto segreto, votarono invece contro, poi accusarono i socialisti di aver salvato il manigoldo per eccellenza. L'aula esplode. Socialisti e leghisti si scazzottarono di bruttao sotto gli occhi dei commessi ridotti per una volta all'impotenza. Il Pds ritirò i suoi ministri. Il governo Ciampi nacque fragilissimo e il progetto di tenerlo in piedi per anni, in modo da superare la tempesta, si tramutò seduta stante in un sogno proibito. La prima Repubblica finì davvero quella sera, a Montecitorio.
Quasi altrettanto deflagrante la vicenda che coinvolse l'allora premier Francesco Cossiga nel luglio 1980. In febbraio il primo pentito delle Br, Patrizio Peci, disse di aver saputo dal militante di Prima linea Roberto Sandalo che Marco Donat- Cattin, figlio del vicesegretario della Dc Carlo, più volte ex ministro e leader della sinistra democristiana, era un militante di Pl. In maggio lo stesso Sandalo, anche lui pentito, raccontò di fronte alla commissione parlamentare inquirente, di essere stato convocato proprio da Donat Cattin padre che gli aveva chiesto di avvertire il figlio dei rischi di arresto che correva e di espatriare quindi subito in Francia. A informare il leader della Dc sulle deposizioni dei pentiti e a consigliare l'espatrio, secondo il pentito, era stato lo stesso presidente del consiglio, Cossiga.
Il premier negò. Il Pci, guidato da suo cugino Enrico Berlinguer, non gli credette, chiese il deferimento di fronte alla Corte costituzionale. Le camere riunite votarono il 27 luglio, dopo un dibattito al calor bianco durato cinque giorni. Respinsero la richiesta ma la ferita non si ricucì. Due mesi dopo il governo Cossiga cadde abbattuto dai franchi tiratori. I rapporti politici tra Dc e Pci naufragarono definitivamente, a quelli personali tra i due cugini sardi non andò meglio. La strada per gli anni del craxismo e del Caf, gli anni del declino della prima Repubblica fu spianata allora. Appena meno terremotanti, nonostante le apparenze, le conseguenze del voto con cui il Senato decise, il 27 novembre 2013, la decadenza di Berlusconi da senatore dopo la condanna definitiva. Fi uscì per rappresaglia dalla maggioranza che sosteneva il governo Letta ma la scissione guidata da Angelino Alfano permise a Letta di restare in sella. Ma la situazione era ormai compromessa e quel voto fu il prologo necessario per la caduta di Letta, pochi mesi dopo, e per la sua sostituzione con Renzi. Un'incoronazione permessa proprio dall'alleanza, pur senza ritorno di Fi nella maggioranza, con Berlusconi. Forse il voto che alla resa dei conti ebbe meno conseguenze fu proprio quello che seguì lo scandalo più prolungato e rumoroso, il caso Lockheed, nella seconda metà dei ' 70. Accusati di aver accettato tangenti dall'azienda americana per facilitare l'acquisto da parte dell'Italia degli aerei militari Hercules C 130, gli ex ministri della Difesa Gui ( Dc) e Tanassi ( Psdi) furono riviati a giudizio, dalle camere riunite in seduta comune, l' 11 marzo del 1977, dopo una discussione durata 8 giorni, I parlamentari bocciarono invece la richiesta a carico dell'ex premier Rumor. Eppure i caso, che teneva banco da mesi e che avrebbe portato alle dimissioni ( ingiuste) del capo dello Stato Giovanni Leone, non incise affatto sul quadro politico complessivo.