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Il premier Giuseppe Conte è salito al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per nuovo colloquio dopo il passo indietro della delegazione di IV. Non per dimettersi. Il quadro è infatti cambiato rispetto all’incontro di ieri: quando Conte ha visto il Capo dello Stato le intenzioni del partito renziano non erano ancora note, né al colle né tantomeno a Conte. Il premier ha illustrato al Capo di Stato «la situazione politica determinatasi a seguito delle dimissioni» delle ministre e del sottosegretario di Iv ed ha «rappresentato la volontà di promuovere in Parlamento l’indispensabile chiarimento politico mediante comunicazioni da rendere dinanzi alle Camere». «Il presidente della Repubblica ha quindi firmato il decreto con il quale, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, vengono accettate le dimissioni rassegnate da Teresa Bellanova dalla carica di ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali - il relativo interim è stato assunto dal presidente del Consiglio dei ministri -, da Elena Bonetti dalla carica di ministro senza portafoglio e da Ivan Scalfarotto, sottosegretario di stato», riferisce il Quirinale in una nota. Il punto Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio sbarrano la strada a Matteo Renzi. E mentre il pallottoliere al Senato e alla Camera gira vorticosamente alla ricerca di numeriche possano garantire la sopravvivenza del governo senza i renziani (al momento però manca ancora ogni certezza, nonostante il lavorio in atto), il centrodestra così come la stessa maggioranza chiedono che Giuseppe Conte si presenti in Parlamento. Tra i più determinati il Pd, che scandisce: «Vogliamo la parlamentarizzazione della crisi, serve un passaggio trasparente», afferma Graziano Delrio. Il problema è che nè la Conferenza dei capigruppo del Senato, nè tantomeno quella della Camera, dopo essersi riunite, riescono a trovare la quadra, in quanto non solo non è chiaro come il presidente del Consiglio voglia gestire questo passaggio, ovvero se presentarsi in Aula e chiedere un voto o se dimettersi o, ancora, prendere tempo ed attendere il 20 gennaio quando si voterà il nuovo scostamento di bilancio, sul quale tuttavia non ci sono timori nonostante serva la maggioranza assoluta, visto che Renzi ha già garantito l’appoggio di Iv. L’impasse del Parlamento è anche formale: la presidenza del Consiglio non ha ancora comunicato ufficialmente ai due rami le dimissioni delle ministre Bellanova e Bonetti. Dunque, tutto è ancora in divenire, in attesa delle mosse di Conte che, ai più, sembra aver imboccato la strada attendista: «sta prendendo tempo», è il refrain nei palazzi, «ma alla fine verrà in Aula». «È inevitabile che ci sarà un passaggio parlamentare», spiega il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Intanto, all’indomani dello strappo di Renzi, si muovono i leader. E il messaggio è netto. «Italia viva è inaffidabile in ogni scenario», sentenzia il segretario dem. «Con Renzi le strade sono definitivamente divise», scandisce il titolare della Farnesina. E se la strada è sbarrata a Renzi, ora dopo ora diventa meno stretta quella dei responsabili, purché l’operazione sia alla luce del sole e con una forza definita e non singoli deputati. Viene letto così l’appello di Di Maio «a tutti i costruttori europei che, come questo Governo, in Parlamento nutrono la volontà di dare all’Italia la sua opportunità di ripresa e di riscatto». Ancora più chiaro Dario Franceschini: «Siamo in un sistema parlamentare in cui le maggioranze di governo si cercano in parlamento, apertamente, alla luce del sole e senza vergognarsene. E così sarà anche questa volta». Il capo delegazione dem spiega: «Le maggioranze in un sistema non più bipolare si cercano e si costruiscono in parlamento, è già avvenuto due volte in questa legislatura, e non c’è niente di male nel dialogare apertamente e alla luce del sole con forze politiche disponibili a sostenere un governo europeista». Tradotto: Conte ter sostenuto da Pd, M5s, Leu e una forza responsabile, senza Italia viva. Del resto è da ieri che il Movimento 5stelle "blinda" Conte, con Beppe Grillo che lancia l’hashtag "ConTe", mentre Zingaretti mette in chiaro che i dem non faranno mai alleanze con la destra sovranista. Quindi, nessun governo di larghe intese o di unità nazionale. Eppure oggi da Iv arrivano segnali che sembrano non escludere un Conte ter (con loro dentro): «Se ci sono risposte concrete non abbiamo preclusioni rispetto a Giuseppe Conte», sostiene Ettore Rosato. Ma la linea renziana non cambia: ogni soluzione passa attraverso le dimissioni del premier. Solo dopo si potrà iniziare a discutere. «C’è una crisi, due ministre si sono dimesse e il premier non vuole andare oggi al Colle e non vuole venire in Senato», osserva il capogruppo Iv Davide Faraone. Il centrodestra, riunito anche oggi in un vertice allargato anche ai "piccoli", insiste sulla necessità che Conte si presenti in Aula, minacciando di bloccare i lavori parlamentari. Lega e FdI chiedono le urne. E Matteo Salvini mette in chiaro: no a esecutivi di larghe intese, «o c’è un governo che governa, oppure minestroni o minestrine agli italiani in questo momento non interessano». Più netta Giorgia Meloni: «Nemmeno è caduto il governo Conte II e già si ipotizza un Conte-ter. Le inventeranno tutte per evitare, ancora una volta, di presentarsi al cospetto degli italiani in libere elezioni. È una menzogna che non si possa votare. Elezioni subito!». Forza Italia, alle prese con la notizia del ricovero di Silvio Berlusconi in ospedale per problemi cardiaci, smentisce di poter entrare in un governo di sinistra e Antonio Tajani boccia un governo guidato da Conte e sostenuto dai responsabili: «Anche se ci fossero che credibilità avrebbe un governo che si fonda su due o tre transfughi?».