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Davide Crippa
«Il capogruppo deve rappresentare il Gruppo, non Giuseppe Conte». Si sfoga così una deputata con il Dubbio, riversando in una conversazione riservata la rabbia e la frustrazione che accompagnano l'avvio del nuovo corso contiano. Non si può rifondare un partito ignorando le dinamiche interne, a meno che non si accetti il rischio di finire impallinati in poco tempo o vittime di ammutinamento. E così alla Camera in pochi hanno apprezzato l'insistenza con cui il neo presidente ha chiesto la “testa” di Davide Crippa, attuale capogruppo a Montecitorio invitato a dimissioni immediate per favorire un ricambio del gruppo dirigente.
Ricambio che però non sarà necessario al Senato, dove Ettore Licheri verrà quasi certamente riconfermato senza l'ansia di trovarsi privo di incarico nel giro di poche settimane. Del resto, chi conosce Conte descrive l’ex premier come una personalità «tignosa», «decisa», «capace di legarsi al dito singoli episodi e poi presentarti il conto». E a Crippa il capo del Movimento non ha mai perdonato le prese di posizione filo Beppe Grillo manifestate in estate, in piena cisi politica tra il garante e il presidente, quando i pentastellati sembravano a un passo dalla scissione.
Ma incattivire ancora di più gli animi a Montecitorio sono i tempi. Il mandato di Crippa scadrebbe naturalmente a fine dicembre, ma Conte vorrebbe un avvicendamento immediato per consentire al nuovo arrivato un rodaggio preliminare in vista della complicata partita del Quirinale di fine gennaio. L'ex premier non ha alcuna intenzione di lasciare la gestione della fase più delicata della legislatura all'attuale capogruppo, troppo poco allineato alle esigenze del “nuovo corso”. «È una scelta legittima», dice sposa la strategia del leader, «è normale che un nuovo “segretario” voglia mettere in mano gli organismi a uomini di fiducia. Del resto, non ha cambiato i capigruppo pure Letta appena arrivato alla guida del Pd?».
Ma succede il blitz dell’ex premier per sostituire Crippa sortisce l'effetto opposto a quello sperato e che un Gruppo sempre più allo sbando e in subbuglio dopo il risultato delle Comunali sceglie di compattarsi attorno al collega invitato alla porta. E anche chi fino al giorno prima magari criticava aspramente l'operato del capogruppo, dopo la forzatura di Conte si è schierato al fianco del collega.
«Crippa ha l'appoggio di quasi tutto il Gruppo», continua la deputata imbufalita. «Possono provare a fare tutti i giochi che vogliono ma si scordano che i nuovi organismi devono comunque passare attraverso il nostro voto. E si vota a scrutinio segreto. Hanno idea di cosa può succedere? Qualsiasi persona proposta da loro verrà “eliminata”, scartata a priori». Quando parla di “loro” la nostra fonte si riferisce agli alfieri di Conte che agitano le acque a Montecitorio, a cominciare dal vice capogruppo Riccardo Ricciardi e dal tesoriere Francesco Silvestri, in pressing da giorni su Crippa per costringerlo a far posto ad Alfonso Bonafede in ticket Lucia Azzolina. «Prenderebbero tre voti in due», dice sprezzante chi non ha mai smesso di accusare la vecchia squadra di governo di aver svenduto il M5S in nome della propria sopravvivenza.
La minaccia del voto segreto, però, non spaventa affatto l’ala contiana del Movimento, forte anche di un accordo di massima con Luigi Di Maio e per questo, convinta che i ribelli non abbiano i numeri per sabotare l’avvicendamento. Ma vorrebbero evitare in tutti i modi di arrivare a una conta pubblica che accenderebbe comunque i riflettori su un partito lacerato.
L’unica alternativa è tentare dunque la carta della persuasione col capogruppo per convincerlo a cedere o, in alternativa, aspettare dicembre e la scadenza naturale del mandato. Eventuali colpi di mano al vaglio in queste ore, come le dimissioni in massa del direttivo per far decadere anche il numero uno, non porterebbero molto lontano. E potrebbero comunque convincere Crippa a non mollare la presa, candidandosi ancora una volta alla guida dei parlamentari della Camera. Per ora Conte sembra essersi cacciato in un imbuto.