Se qualcuno della maggioranza vota la sfiducia al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, è come se votasse la sfiducia al governo. A provare a blindare il ministro della Giustizia è il capo politico del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi: «Sono sicuro che la maggioranza voterà compatta perchè Bonafede è il nostro capo delegazione, è un ministro importante e se qualcuno della maggioranza vota la sfiducia a lui è come se votasse la sfiducia al governo, per cui sono convinto che non ci saranno sorprese». Il capo politico del M5s ha poi definito «un attacco strumentale al governo» le critiche mosse dalle opposizioni contro Bonafede, la cui valutazione dovrebbe essere «complessiva e non solo legata agli ultimi mesi». Parole, queste, che provano a frenare l'assalto alla diligenza di Italia Viva, che è invece pronta per la battaglia campale, domani in Senato.
Italia Viva
Matteo Renzi ha imposto a tutti la linea del silenzio sul dibattito interno al suo partito: ha annunciato che parlerà lui a nome del gruppo e deciderà se accendere i carboni sotto la graticola su cui siede il ministro. Il fiammifero, invece, l’ha fornito Emma Bonino, che domenica ha presentato una mozione di sfiducia definita «garantista» contro Bonafede, sottoscritta da Più Europa, Azione e Forza Italia, che di fatto è una copia carbone di tutte le critiche che Italia Viva ha mosso al Guardasigilli da quando si è insediato. Di qui le parole sibilline di Renzi sul voto: «I numeri sono ballerini e Italia Viva potrebbe essere decisiva. Voi che idea vi siete fatti? Vi leggo con grande attenzione, come sempre», ha annunciato sulla sua E- news, lanciando una sorta di sondaggio online tra i suoi sostenitori con stile quasi pentastellato. Del resto, la trappola al sempre più debole Bonafede è stata ben piazzata: il governo Conte a palazzo Madama può contare su 163 senatori, escludendo quelli a vita. Precisamente: 96 del Movimento 5 stelle; 35 senatori del Pd; 17 senatori di Italia viva; 8 senatori del gruppo delle Autonomie; 5 senatori di Leu e 2 senatori di Maie, che fanno parte del gruppo Misto. Dunque, i giallorossi raggiungono e oltrepassano la soglia di sicurezza della maggioranza assoluta, fissata a 161, per soli 2 voti. Troppo pochi per dormire sonni tranquilli, soprattutto quando la mozione più pericolosa è stata pensata dai senatori “contigui” alla maggioranza proprio per attirare i voti della maggioranza stessa.
La mozione di Più Europa
Per dirla con il segretario di Più Europa, Benedetto Della Vedova: «Chiediamo a Renzi e al Pd di scegliere tra garantismo e populismo. La nostra mozione contesta una politica confusa, improntata al populismo giudiziario, ai processi mediatici e a un’idea panpenalista e manettara». Una sirena, questa, che tenta anche Pierferdinando Casini ( senatore eletto col Pd nel gruppo delle Autonomie): «Rifletterò su come votare dopo aver ascoltato Bonafede», ha commentato, aumentando il clima di incertezza. La mano che si giocherà mercoledì 20, se possibile, è però ancora più complessa.
La pistola puntata contro Conte
In ballo, infatti, rischia di non esserci solo lo scranno di via Arenula, ma anche la tenuta di Palazzo Chigi. Perchè pubblicamente nel mirino di Italia Viva c’è sì Bonafede, ma l’obiettivo vero è dare uno scossone proprio a Giuseppe Conte. «Conte è scomparso. C’erano delle questioni aperte sulle quali tornare e invece... per carità, capiamo tutto: il decreto rilancio, le regioni, le riaperture ma pensiamo che il premier debba anche farsi carico della tenuta del suo governo. Non si illuda che il nostro sia un bluff», commenta un senatore Iv, spiegando l’irritazione nei confronti del premier che aveva invitato i renziani a Palazzo Chigi all’indomani della minaccia di dimissioni di Bellanova, ma che a quelle promesse di dialogo ha fatto seguire un nuovo muro di silenzio. Proprio questo atteggiamento ha mandato su tutte le furie Iv, che ha voluto mettere le cose in chiaro: la tentazione di sfiducia a Bonafede è forte e «una valutazione seria è in corso. Se entro mercoledì non ci sarà un chiarimento con il premier Conte, ogni scenario è aperto». Già nella serata di ieri si è tenuto un incontro tra la delegazione di Italia Viva, capitanata da Maria Elena Boschi, e il premier: proprio in questa sede, Italia Viva ha puntato a mettere in fila i propri desiderata, primo tra tutti un ripensamento radicale sullo stop alla prescrizione. Se Conte desse qualche assicurazione su «una svolta in direzione opposta al giustizialismo», allora si aprirebbe la possibile strada per salvare il ministro. Certo, per il Guardasigilli barattare la propria salvezza in cambio di uno dei pilastri della politica 5 Stelle sarebbe comunque una batosta da ko. Soprattutto ora che le sue quotazioni di credibilità sono ai minimi storici anche dentro il Movimento 5 Stelle, spiazzato soprattutto dalla polemica con l’idolo grillino Nino Di Matteo.
24 ore decisive
Tutto si giocherà nelle prossime 24 ore, quindi. «Per decidere il da farsi aspettiamo di vedere il premier», confermano i renziani. Che sono tentati anche dal suggerire a Conte di ispirare un prudente passo indietro allo stesso Bonafede, pur di salvare il governo. Se il ministro si dimettesse di sua spontanea volontà, ragionano alcuni, la mozione di sfiducia sparirebbe insieme alla minaccia all’Esecutivo. Anche questa strada, tuttavia, rimane nel limbo della fantapolitica. Per ora, l’unica certezza è che nessuna delle parti in causa ha interesse a far cadere il governo: non Italia Viva, non certo i 5 Stelle e men che meno il Pd. L’impasse, però, è evidente e va sbloccata in qualche modo. O “vedendo” il presunto bluff di Italia Viva, ma in molti temono l’imprevedibilità di Matteo Renzi, oppure con una concessione all’ex premier. La scelta spetterà a Conte, che si trova a sua volta davanti al bivio: difendere ancora il ministro che lo ha portato a Palazzo Chigi o agire politicamente, sacrificandolo. Un dilemma che mostra di nuovo come in filigrana dietro la mozione di sfiducia al Guardasigilli ci sia proprio la prima vera prova del fuoco politica per il premier.