Superare le «vecchie barriere tra le forze alternative alla sinistra». Giorgia Meloni, all’indomani del primo turno delle legislative francesi, dice di non volersi sbilanciare ma poi, nei fatti, invia un messaggio ben preciso ai suoi alleati di Roma e a quelli – potenziali – di Bruxelles. La presidente del Consiglio, in attesa dei risultati definitivi a Parigi, preferisce non formulare attraverso delle note ufficiali dei giudizi necessariamente prematuri, ma affida all’Adnkronos un commento che guarda molto alla trattativa in corso coi vertici europei per l’ottenimento di un commissario di peso e di una vicepresidenza per il nostro paese.

Coerentemente alla dura presa di posizione assunta in Parlamento prima del vertice Ue della scorsa settimana (quando accusò duramente l’«Europa dei caminetti»), la presidente del Consiglio si è rallegrata dell’indiscutibile indebolimento di Macron, finora maggiore ostacolo a un suo pieno coinvolgimento nei giochi europei, ma ha posto non casualmente l’accento su quella che a suo avviso è la grande novità di questa tornata elettorale transalpina. E cioè che una parte dei gollisti, la destra liberale e moderata madre della Quinta Repubblica, ha fatto cadere il veto storico nei confronti della destra populista schierandosi al fianco di Marine Le Pen e di Jordan Bardella, ma anche la parte restante non sembra orientata a favorire uno schieramento capitanato dal “movimentista” di sinistra Jean Luc Melenchon.

In realtà la questione è più complessa e mai come in quest’occasione il peso politico del partito fondato dal padre della Francia libera e di quasi tutti i presidenti della Repubblica è stato così residuale. Ma alla premier interessa anzitutto l’idea che all’ombra della Torre Eiffel si stia avviando un processo politico simile a quello che, 30 anni fa, per impulso di Silvio Berlusconi portò alla creazione del centrodestra italiano, formula che ancora gode di salute, seppur ribaltata nelle proporzioni politiche.

E soprattutto, il destra-centro transalpino viene proiettato da Meloni su Bruxelles per dire che è giunto il momento di far cadere il muro che separa i moderati (leggi Popolari e liberali non macroniani) dai conservatori. «Ho sempre auspicato», ha affermato Meloni, «anche a livello europeo che venissero meno le vecchie barriere tra le forze alternative alla sinistra e mi pare che anche in Francia si stia andando in questa direzione». «Per la prima volta», ha proseguito, «il partito di Le Pen ha avuto degli alleati già dal primo turno e per la prima volta mi pare che anche i Républicains siano orientati a non partecipare al cosiddetto “Fronte repubblicano”». «Lo dico», ha concluso, «perché noto qualcosa che in forme diverse avviene anche in Italia: il tentativo costante di demonizzare e di mettere all’angolo il popolo che non vota per le sinistre. È un trucco che serve a scappare dal confronto sul merito delle diverse proposte politiche, ma è un trucco in cui cadono sempre meno persone».

Una Le Pen vincente, in quest’ottica, non potrebbe che fare bene alla causa della premier a Bruxelles, portando a destra un altro paese fondatore e disinnescando il potere di veto di Macron. È qui, però, che per Meloni arrivano i grattacapi, forniti in ampia misura ed esclusivamente dal leader leghista Matteo Salvini, che subito dopo la diffusione degli exit-poll ha iniziato a sparare a palle incatenate per piazzare un cuneo tra Ursula von der Leyen e tutte le destre europee, in modo da rendere difficile oltre che indigesto per gli elettori un possibile accordo tra Ecr e la maggioranza in sella all'Unione europea.

Più che il “Macron vergognoso”, infatti, ciò che verosimilmente ha disturbato di più Meloni è il parallelo tra l’inquilino dell’Eliseo e la presidente designata della Commissione, che «cerca in tutti i modi di opporsi ad un cambiamento espresso da milioni di francesi, a Parigi e come a Bruxelles». Irritando la premier e continuando a bisticciare con Antonio Tajani, Salvini indica la prospettiva del grande gruppo dell’Eurodestra patrocinato dal leader ungherese Orban (che guarda caso ha ufficializzato il suo no all’Ecr proprio a margine di un incontro con Meloni ed è pronto a prendere le redini dell’opposizione a Bruxelles nel caso Rn diventi forza di governo), continuando – così dicono i maligni e i bene informati - in cuor suo a sperare che alla fine l’accordo tra Meloni e il Ppe per il sostegno esterno a Ursula arrivi.

Sarà necessario tuttavia aspettare l’esito delle elezioni francesi, tant’è che il gruppo di Salvini e Le Pen ha rinviato la riunione di formazione a dopo i ballottaggi. Nel frattempo, il vicepremier non lascia sguarnito il fronte interno: Roberto Vannacci, optando per il collegio Nord-Ovest consente alla fedelissima salviniana Susanna Ceccardi di essere ripescata e di entrare nell’Europarlamento. Rimane così fuori Angelo Ciocca, eurodeputato leghista di lungo corso, la cui passata vicinanza politica a Paolo Grimoldi, recentemente espulso dal Carroccio, non deve aver deposto a suo favore.