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Le bandiere del centrodestra che a livello nazionale fa capo a Giorgia Meloni
«Non sono ricattabile». La premier Giorgia Meloni, annunciando ieri pomeriggio sui social di aver ricevuto un avviso di garanzia (che però l’Anm ha smentito essere tale, ma solo un “atto dovuto”) per la vicenda Almasri, ha usato una frase non casuale. Le stesse parole, infatti, erano state da lei pronunciate nel momento più tumultuoso della trattativa per la formazione del suo governo, a inizio legislatura. E suonano ancora più significative, se si pensa che in quel caso erano rivolte contro Silvio Berlusconi, che stava utilizzando tutti i mezzi a propria disposizione per imporle persone di fiducia in alcuni ministeri chiave, primo fra tutti quello della giustizia.
L'intenzione dell'allora presidente del Consiglio incaricata era quella di non ripercorrere il terreno del muro contro muro con la magistratura, di non far tornare alla metà degli anni 90 l'orologio della politica italiana, con la guerra di logoramento tra un governo tacciato di fare leggi ad personam e di avere intenti punitivi nei confronti delle toghe.
Nel disegno meloniano, vi era l'intenzione di sgomberare il campo da ogni possibile accusa di conflitto d'interesse, difficile da schivare qualora le chiavi di via Arenula fossero state nuovamente affidate a un fedelissimo del Cavaliere. La scelta di un ex-pm come Carlo Nordio, e l'episodio della famosa mail del magistrato Marco Patarnello (che avvertiva la pericolosità di Meloni per non avere interessi personali da difendere) avevano dato l'impressione che la premier avesse imbroccato la strategia corretta per portare il dibattito sulle questioni di merito sulla politica giudiziaria, anziché sullo scontro ideologico. E invece ciò non è stato possibile.
Con l'atto (dovuto o meno) fatto recapitare dalla Procura di Roma a lei e ai ministri Nordio e Piantedosi e al sottosegretario Mantovano, lo scontro che era divenuto aspro quando il governo ha fatto capire che la riforma della giustizia è divenuta una delle priorità del suo programma ora ha ineluttabilmente virato verso la guerra di trincea, anche in virtù della scelta della premier di alzare immediatamente i toni.
Con alcuni effetti immediati: se all'interno della maggioranza finora permaneva in alcuni settori una residua volontà di mantenere un canale di comunicazione – se non dialogo – con la magistratura organizzata, queste voci ora sono destinate a tacere e a cambiare atteggiamento. A queste poteva essere ascritto Mantovano, che ora invece si ritrova indagato e che certamente non farà uso della consueta temperanza. L'atto della Procura di Roma, inoltre, pone una pietra quasi tombale su tutti i contenziosi in corso all'interno della maggioranza, ricompattando nel modo più rapido ed efficace pensabile il centrodestra, nel quale erano in corso fibrillazioni tra alleati e all'interno dello stesso partito. Difficile pensare ora che le imminenti decisioni dei giudici rispetto alla posizione della ministra del Turismo Daniela Santanchè possano mantenere Giorgia Meloni in quell'incertezza sul da farsi che lei stessa aveva ammesso, per questioni di opportunità politica. Le inchieste sulle società della ministra avevano fatto breccia, e causato un conflitto aspro tra la diretta interessata, una parte del suo partito e la stessa premier, tanto che nella mattinata di ieri Santanchè aveva dovuto fare un brusco dietro- front su alcune sue dure affermazioni.
Da questo momento in poi, ogni atto delle toghe relativo ad un membro del governo verrà bollato come strumentale e in quanto tale respinto. Ragion per cui, Santanchè o qualsiasi altro ministro ha guadagnato un'insperata schermatura giudiziaria e resterà al suo posto, perché Meloni avrà buon gioco, rivolgendosi direttamente al suo elettorato come fatto ieri, nel denunciare un presunto disegno delle “toghe rosse”. E Matteo Salvini? Dopo l'assoluzione a Palermo per il processo Open arms, un procedimento a carico di altri quattro membri dell'esecutivo non potrà che ringalluzzirne la vis polemica nei confronti della magistratura e spingerlo nuovamente verso la mobilitazione generale del suo partito contro l'uso politico della giustizia, spostando quindi i riflettori che si stavano posando sui mal di pancia del partito del Nord rispetto al terzo mandato e all'autonomia, in preparazione di un congresso che si annuncia difficile per la sua leadership.
Insomma, se un premier sotto indagine ha il sapore di un deja-vu (il primo pensiero va al famoso avviso di garanzia napoletano a Berlusconi), non è detto che stavolta questa possa indebolire il destinatario, che trent'anni fa aveva tra i suoi alleati partiti apertamente giustizialisti e vicini ad alcune componenti delle toghe, ma che oggi conta su un blocco, almeno sul fronte della giustizia, fino a ieri pomeriggio compatto, ora monolitico. Il primo round di questo nuovo livello di scontro avrebbe dovuto esserci oggi in Parlamento, dove era prevista l’informativa sulla vicenda Almasri di Piantedosi e Nordio che, essendo i due indagati, è stata annullata in attesa di sviluppi