No, il caso Almasri non è chiuso affatto. Minaccia anzi di trasformarsi in un incendio di portata ancora più vasta, modello Los Angeles.

La Corte penale dell'Aja deve decidere se procedere dopo la denuncia di un senegalese contro la premier e i ministri Nordio e Piantedosi per aver «abusato dei loro poteri esecutivi per disobbedire ai loro obblighi internazionali e nazionali». Tra la Corte e il governo italiano già non correva buon sangue dopo l'annuncio di Roma di non voler dar seguito, ove se ne presentasse l'occasione, all’ordine di arresto contro Netanyahu. Il violentissimo attacco di Nordio in aula non ha certo migliorato i rapporti. L’Italia risponde minacciando a propria volta la Corte. La dichiarazione di Tajani che campeggiava ieri, «forse bisogna aprire un’inchiesta sulla Corte per avere chiarimenti su come si è comportata», non faceva altro che riprendere la chiusura con tanto di fuochi artificiali dell'intervento di Nordio a Montecitorio. Ma che il moderato Tajani assuma posizioni identiche a quelle di un ministro che ormai alza i toni per abitudine è comunque significativo. Va da sé che Salvini condivide: «Invece di indagare la Cpi dovrebbe essere indagata».

Uno scontro frontale tra il terzo Paese dell'Unione europea e la Corte penale internazionale, tra l’altro istituita proprio a Roma, sarebbe comunque un problema di prima grandezza in Italia e in Europa, per l'Italia e per l'Europa.

Capita però che una vicenda già grave si inserisca in un quadro anche più drammatico. Trump ha firmato l'ordine esecutivo che stabilisce sanzioni dure contro la Corte: divieto di ingresso negli Usa e congelamento dei beni non solo per tutti i dirigenti e i dipendenti della Corte ma anche per chiunque sia sospettato di aver collaborato con le sue indagini. In altri termini la Cpi è considerata ora dagli Usa un nemico giurato. Con capo d'accusa altrettanto pesante: «Azioni illeggitime e infondate contro l’America e contro il nostro stretto alleato Israele». Guerra aperta e senza quartiere.

La replica della Commissione europea è arrivata per bocca della presidente von der Leyen e per una volta è una replica a tono, tanto dura quanto l'attacco di Trump, subito osannato da Netanyahu.

«La Cpi deve poter perseguire liberamente la lotta contro l'impunità globale. Garantisce l'accertamento delle responsabilità per i crimini internazionali e dà voce alle vittime in tutto il mondo. L’Europa sarà sempre a favore della giustizia e del rispetto del diritto internazionale», dichiara la presidente e trae le conseguenze: una piena a urlata «condanna» delle sanzioni decise dagli Stati Uniti.

La Ue non è sola.

Sono infatti 79 i Paesi che all'Onu hanno firmato una dichiarazione congiunta che accusa gli Usa di favorire così “l'impunità”. Tra questi, particolare non irrilevante, non c'è l'Italia. Il problema è che senza nessuna tra le grandi potenze al loro fianco i 79 Paesi firmatari sono del tutto impotenti. Se hanno un peso è perché c'è l'Unione europea sulla stessa linea. Incrinare l'unità dell'Unione sarebbe di conseguenza elemento decisivo nel braccio di ferro con Washington.

Quell'unità è già vacillante. Se il cancelliere tedesco Scholz critica gli Usa il premier ungherese e leader sovranista Orbàn si attesta su una posizione opposta:  «È tempo per l'Ungheria di rivedere ciò che stiamo facendo in un'organizzazione internazionale sanzionata dagli Usa». Il suo ministro degli Esteri Sijarto è anche più sbrigativo: «La decisione di Trump è comprensibile. La Cpi è diventata uno strumento politico parziale». Se dal fronte europeo si sfilasse un Paese che è fondatore e terzo per importanza, con la spinta ovunque di una destra allineata sulle posizioni del presidente americano, il crollo del baluardo europeo diventerebbe solo questione di tempo e non ce ne vorrebbe molto.

La situazione si configura così molto delicata per tutti.

La premier non vuole stacccarsi dall'Europa e dall'alleanza con von der Leyen ma un'indagine della Corte su di lei e sui suoi ministri finirebbe per gettarla nelle braccia di Trump e Musk ancor più di quanto già non sia. L'Unione sa perfettamente di essere ad altissimo rischio e non avrebbe certo alcun piacere in uno schieramento aperto dell'Italia a fianco di Trump e Orbàn.

Ma per la Corte far finta di niente di fronte a una clamorosa violazione del suo mandato da parte di un Paese come l'Italia significherebbe ammettere la propria impotenza e di fatto dichiarsi superflua. L'equilibrio è già molto più che instabile. Ammesso che parlare di equilibrio abbia ancora un senso.