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Ma quanto pesa davvero Giuseppe Conte all’interno del Movimento 5 Stelle? Dopo aver lanciato a viso aperto la sfida al fondatore Beppe Grillo, la scissione pentastellata, finora scongiurata dalla mediazione impossibile portata avanti da Luigi Di Maio, sembra l’unico sbocco plausibile di una crisi inedita.
Ma la sensazione è che le cifre ottimistiche circolate nei giorni scorsi ( 120/ 140 parlamentari pronti a seguire l’ex premier) siano più il frutto della fantasia euforica di Rocco Casalino che un quadro realistico della situazione.
Perché parteggiare per Conte nella contesa col “garante” non equivale affatto a seguirlo in un altro contenitore in caso di scissione. E i motivi sono molteplici: nobili ( la scarsa chiarezza del progetto) o di mero calcolo ( la mancanza di risorse economiche).
Insomma, il contesto è tutt’altro che lineare e persino esponenti di peso del contismo, come la vice presidente del Senato, Paola Taverna, si rendono perfettamente conto della delicatezza del momento e provano a tenersi alla larga dai ragionamenti semplicistici e perentori con cui l’ex premier pensa di potersi staccare celermente dalla “casa madre” e senza “perdite”.
In politica i tempi sono fondamentali, ma anche la matematica. Ma sui numeri l’avvocato di Volturara Appula non sembra aver imparato la lezione del mai nato Conte ter, quando la comunicazione pentastellata spacciava per certa la nascita del nuovo esecutivo sommando voti improbabili mai arrivati. E visto che perseverare è diabolico, persino fedelissimi come l’ex ministro Riccardo Fraccaro cominciano a vacillare
L’ex premier non tiene neanche in debito conto le praticissime preoccupazioni di molti suoi seguaci, consapevoli che il regolamento di Palazzo Madama impedisce la formazione di nuovi Gruppi parlamentari a legislatura in corso. Per dar vita a una nuova formazione al Senato serve un simbolo che si sia presentato alle Politiche eleggendo almeno un rappresentante del popolo.
Ma tutti i loghi “minori” utili allo scopo sono già stati accaparrati nel tempo da altri scissionisti di varie provenienze. Per i fan dell’avvocato non resterebbe dunque che accomodarsi tra i banchi del Misto, confondendosi tra i mille partitini o singoli individui già ospitati in quel contenitore. Una prospettiva che ovviamente non entusiasma i tanti indecisi “pro Conte”.
A meno che l’ex premier non provi a chiudere un accordo con Leu, il partito più contiano in circolazione, per avere in prestito il simbolo in cambio dell’inclusione nel progetto. Anche questa ipotesi però presenta più di una controindicazione per gli ex M5S, terrorizzati all’idea che alla fine sarebbe Bersani ad annettere Conte e non il contrario.
La mancanza di risorse economiche per un partito da costruire dalle fondamenta raffredda ulteriormente gli ardori di quei parlamentari già turbati dall’assenza di un orizzonte politico realmente distinguibile da quello del Pd. «Sono sicuro che alla fine a seguire Conte rimarrà solo un gruppetto di parlamentari», dice un deputato grillino, convinto che la rivolta annunciata si spegnerà in un piccolo tumulto.
E in attesa di pesare il suo consenso tra gli eletti, all’avvocato non resta che ascoltare le opinioni dei sondaggisti per capire quanto potrebbe valere un partito a sua immagine e somiglianza. Tra il 10 e il 15 per cento, secondo Fabrizio Masia, non oltre il 10 per Renato Mannheimer.
Percentuali incoraggianti ma lontane dalle ambizioni di Conte. Uno scenario che offre a Di Maio un argomento in più per spiegare all’ex premier che in caso di scissione a rimetterci sarebbero tutti. Nessuno escluso.
Ma per ora l’ex premier non vuol sentir ragioni, è convinto che la convivenza con Grillo non sia più possibile e che sia arrivato il momento di gettare il cuore oltre l’ostacolo.
L’importante è non andare a sbattere contro un muro, per colpa di qualche calcolo sbagliato.